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Usa, come i tagli alla Difesa hanno colpito l’industria. Il report del Csis

Dal 2011, circa 17mila aziende americane hanno abbandonato il mercato della Difesa. Ad annunciarlo è uno studio del Center for Strategic and International Studies (Csis), realizzato per l’Aerospace Industries Association (Aia), che sarà pubblicato a gennaio ma che è stato anticipato dall’Associazione statunitense in occasione dell’evento annuale a Washington.

Il report, intitolato “Measuring the Impact of Sequestration and the Defense Drawdown on the Industrial Base, 2011-2015”, analizza l’impatto che i tagli al budget della Difesa Usa hanno avuto sulla base industriale. I dati sono significativi: 17mila fornitori di primo livello hanno lasciato il mercato della Difesa dal 2011 al 2015, una riduzione di circa il 20%. Il fatto che la riduzione della spesa per la difesa produca effetti negativi sull’industria non è una novità, ma vederlo in dati così concreti fa un certo effetto, soprattutto considerando che da quest’altra parte dell’oceano i tagli al budget sono stati simili se non peggiori.

Lo studio parte dai limiti di spesa imposti dal Budget Control Act del 2011, a cui sono seguiti accordi di bilancio a breve termine, procedure di stanziamento “imprevedibili e incoerenti” da parte del Congresso, “la perdita di fornitori, il cambiamento della concorrenza e delle struttura del mercato, e altri sconvolgimenti”. Il vero punto di svolta non sarebbe però stato il Bca del 2011, quando l’attuazione di una generale sequestration sul budget dal 2013. Rispetto al periodo fiscale precedente (2009-2010), l’avvio del declino nel 2011-2012 ha prodotto un calo medio annuale degli obblighi contrattuali nel campo della Difesa del 5%. Quando è partita la sequestration nel 2013, lo stesso valore è diminuito del 15% sull’anno precedente. Nel periodo fiscale 2013-2015, definito dal report “BCA decline period”, gli obblighi contrattuali si sono ridotti del 23%. A subire di più il colpo l’Army, per cui la riduzione contrattuale media è stata del 35% tra il 2013 e il 2015. Chi ha invece avvertito di meno il calo è stato il settore della difesa missilistica, che nello stesso periodo ha perso solo il 3% per via dell’attenzione che ad essa è stata dedicata dalla presidenza Obama.

L’executive summary del report non specifica se le 17mila aziende abbiano chiuso i battenti, si siano riconvertite o siano passate a un livello di fornitura più basso. In ogni caso, si legge, “non c’è dubbio che un’enorme porzione delle recenti turbolenze nella base industriale ha avuto luogo tra i subcontractor, che sono meno equipaggiati per sopportare l’incertezza di finanziamenti nel mercato della Difesa e un regime regolatorio spesso oneroso”.

È colpa dei tagli se l’industria è “più fragile e meno flessibile di quanto io non abbia mai visto, e sono stata nel settore per tanti, tanti anni”, ha detto Maryllin Hewson, presidente e ceo di Lockheed Martin che del Pentagono è il primo fornitore. “Questo è quello che abbiamo osservato, e faccio l’esempio di Lockheed Martin: all’inizio dei tagli al budget avevamo circa 126mila dipendenti; oggi siamo a 97mila”, ha aggiunto, come riporta DefenseNews, partecipando al Reagan National Defense Forum in California. “La nostra impronta – ha spiegato – si è ridotta drasticamente: considerando alcune nostre piccole e medie imprese, e alcuni dei componenti di cui abbiamo bisogno, c’è uno, forse due fornitori in quel campo dove prima ce n’erano molti, molti altri”.

Secondo John Luddy, vice presidente dell’Aia, “la nostre aziende hanno fatto un eccellente lavoro di gestione della regressione, tirando ogni tipo di leva per farlo funzionare. Hanno dimostrato l’ingegno del sistema americano del libero mercato”. Ciononostante, ha aggiunto, “l’incertezza del processo di definizione del budget è diventata per noi una grande sfida”.

E proprio su questo ha puntato Donald Trump durante la campagna elettorale, confermandosi particolarmente attento anche dopo la vittoria. È di questa settimana la firma del National Defense Authorization Act (Ndaa) che prevede, per l’anno fiscale 2018, quasi 700 miliardi di dollari. Approvato in Congresso e firmato dal presidente, il bill resta però ancora ipotetico. Dovrà aspettare che Capitol Hill modifichi il Budget Control Act del 2011 che impone di non superare i 549 miliardi.


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