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Cosa sta succedendo davvero in Tunisia? Lo racconta Imen Ben Mohamed

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Per il terzo giorno consecutivo, decine di città della Tunisia hanno trascorso una notte all’insegna degli scontri e della violenza per le proteste per il caro-vita che hanno preso piede nel Paese. Nel mirino c’è la legge finanziaria varata dal governo di Youssef Chahed, che ha dovuto inserirvi, sotto la pressione del Fondo Monetario Internazionale, che a Tunisi ha prestato ben 2,9 miliardi di dollari nel 2016, una serie di imposte estremamente impopolari, perché vanno a colpire i beni di prima necessità, benzina, verdura, frutta, e dunque soprattutto le classi più disagiate. Il rischio che le proteste assumano una connotazione marcatamente politica c’è, e lo dimostra il dibattito interno al parlamento, con le opposizioni già all’attacco del governo. Il copione non sembrerebbe poi così lontano, fatte le dovute distinzioni, dalle recenti sommosse iraniane, iniziate prima di capodanno come protesta meramente economica, trasformatesi (anche per una notevole enfasi mediatica) in un’ondata di dissenso politica.

Non è d’accordo Imen Ben Mohamed (nella foto), deputata tunisina del partito islamista Ennhada, al governo in una coalizione con il partito del premier Nidaa Tounes. “Nulla a che vedere con quel che sta accadendo in Iran”, spiega la deputata a Formiche.net, “le rivendicazioni sono completamente differenti, e in più non c’è nessun coordinamento politico dietro alle manifestazioni”. L’invito è dunque a un’analisi a sangue freddo, senza sensazionalismi. Il fenomeno, infatti, non è nuovo: “Dalla rivoluzione del 2011 la ripresa economica tunisina ha faticato, il 2017 in particolare è stato un anno difficile. Da sempre però i mesi di gennaio e febbraio sono i più dolorosi, perché seguono la legge finanziaria di fine anno. Il governo ha già annunciato che ci saranno delle esenzioni per le classi di reddito più povere, ma purtroppo era inevitabile allargare la base imponibile.”.

Le proteste, ci tiene a precisare la Mohamed, sono perfettamente legittime finché “sono pacifiche e si svolgono di giorno”. Diverso è quanto sta accadendo in queste giorni in diversi centri tunisini, e in particolare a Tunisi, Jelma, Djerba e Tebourba, dove le lecite rivendicazioni dei tunisini hanno lasciato il posto a “violente manifestazioni di notte, cui hanno preso parte gruppi di vandali che hanno saccheggiato i supermercati e danneggiato gli edifici pubblici”. Che sia o no legittimo il risentimento per il rincaro dei prezzi e la frustata del fisco, il partito di Ennhada “è vicino all’esercito e alle forze di polizia impegnate a riportare l’ordine”.

Ad ogni modo, il partito di Ennhada, che pure è pilastro del governo Chahed, “ha votato contro la manovra finanziaria, a differenza del principale partito di opposizione, il Fronte Popolare”. Curioso dunque, fa notare la deputata di maggioranza, che proprio il Fronte Popolare abbia assunto nelle ultime ore il timone delle proteste. “Quel che preoccupa di queste manifestazioni è che c’è una parte dell’opposizione che vuole strumentalizzarle e coordinarle” accusa la parlamentare tunisina. Di più: tralasciate le mere strumentalizzazioni politiche, in Tunisia c’è addirittura chi “vorrebbe cogliere queste occasioni per minare l’ordine democratico, destabilizzare il governo, farlo cadere e andare alle elezioni anticipate”.

Non c’è però “il rischio di un prossimo ritorno all’instabilità politica” rassicura Mohamed. Non sarà dunque un’ondata di proteste per il carovita a far tornare indietro di sei anni l’unico Paese del Nord Africa che ha saputo evitare, con una transizione democratica relativamente pacifica, che la primavera araba si trasformasse in un inverno di fondamentalismo e anarchia. In questi giorni, riporta Al Jaazera, c’è chi scommette sulla fragilità della coalizione di governo, dovuta anche alle divergenze sulla salatissima legge finanziaria. “Nessuna frattura nella maggioranza” taglia corto la deputata. “Il primo ministro ha dichiarato pubblicamente che in questo periodo c’è una rivalità, ma è normale, perché ci avviciniamo alle elezioni locali di maggio, dove Ennhada correrà con delle liste proprie”.

Intanto l’Europa segue con attenzione i sommovimenti tunisini, con la speranza che rimangano confinati alle manifestazioni pacifiche. Sarebbe infatti troppo alto il prezzo da pagare qualora la stabilità politica venisse meno in Tunisia, unico interlocutore credibile per la faticosa lotta al traffico di migranti. Su questo tema a Roma si riuniscono in un summit d’eccezione, il Med 7, sette Stati dell’Europa meridionale: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Cipro, Grecia e Malta. “Il Med 7 a Roma è un’occasione cruciale per riportare al centro l’attenzione sul fenomeno migratorio. È importante farlo con i più alti vertici istituzionali dei Paesi coinvolti” commenta la deputata di Tunisi. Che aggiunge: “Nel 2011, a seguito della rivoluzione, c’era stata un’impennata delle partenze verso l’Italia, anche attraverso la Tunisia. Grazie alla cooperazione con il governo italiano , che speriamo possa proseguire, in questi ultimi due anni siamo riusciti a contrastare efficacemente il traffico di vite umane”.

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