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Artico, Mediterraneo e Adriatico: quel comun denominatore chiamato energia

Che cosa unisce, come una fila di spie luminscenti, l’Artico, il Mediterraneo e l’Adriatico? Come immaginare una rete di direttrici, interazioni e svolte per la geopolitica 2.0 che parta dall’energia? La risposta si può trovare alla voce gas, che ormai da anni muove truppe e sposta equilibri nei cinque continenti, ma in modo particolare in due.

Il vecchio, che con il Mediterraneo è tornato centrale nello scacchiere mondiale e il Medio Oriente che, tra le interlocuzioni fra le macro regioni coinvolte (Balcani, versante caucasico, sponda russo-cinese) presenta sfaccettature cangianti.

Si prenda il versante Artico, dove Mosca ha mutato strategia sulla scorta dell’assunto che “la ricchezza della Russia dovrebbe crescere con l’Artico” come osservato dal Cremlino nella conferenza stampa di fine anno. E’dal 2014 che lo sviluppo di giacimenti di idrocarburi offshore e costieri ha registrato inversioni di rotta.

Tra l’altro proprio le sanzioni contro la Federazione Russahanno limitato l’esplorazione e la produzione di idrocarburi in acque profonde lì, con una serie di conseguenze, come la proposta di combinare la Via della Seta in Cina con la cosiddetta Strada Mare del Nord, ma in pratica si tratta davvero di futuro. Il cablaggio annuale delle navi verso est lungo la rotta del Mare del Nord è ancora impervio, e la mancanza di infrastrutture non lascia speranze nel breve periodo per la rapida comparsa di navi portacontainer.

Di conseguenza, per esempio, il dibattito su come sviluppare la flotta rompighiaccio, tocca la creazione di infrastrutture portuali rompighiaccio come condicio sine qua non per gli investimenti. Ma al contempo proprio i conflitti in cui la Russia è ora coinvolta rendono sempre più proibitiva l’esplorazione dell’Artico. Ecco che allora la fornitura di navi “per il ghiaccio” assume improvvisamente un ruolo diverso.

Il nodo, ad oggi, riguarda gli altri competitors, ovvero Canada, Cina, Groenlandia, Islanda e Norvegia. Gli Usa infatti in questa partita, come ha ribadito il Segretario di Stato Tillerson, partono in ultima fila. E dal momento che le rotte polari appaiono più percorribili rispetto a ieri grazie allo scioglimento dei ghiacci, ecco che il bacino energetico dell’Artico diventa perno della politica estera.

Mosca e Pechino, come è noto, sono già allacciate dal mega accordo siglato due anni fa che ha creato una rinnovata partnership a cui si aggiunge il potenziamento delle rotte ferroviarie. Si parte con Belkomur, il mega progetto che dal 2023 unirà Mar Bianco, Komi e Urali, in aggiunta alla ferrovia Vorkuta-Ustkara. Due interventi di logistica particolarmente cari a Mosca che punta controllare i pedaggi della “Northern Sea Route”, lungo l’asse Cina, Bering, fino a Rotterdam.

Europa. Ovvero l’approdo del gas che ha dato fiato a mille cambiamenti tra North Stream e South Stream, fino alla decisione di puntare sul gasdotto Tap, che in virtù di 878 km, porterà ogni anno in Europa 10 miliardi di metri cubi di gas attraverso Turchia, Grecia, Albania e Italia. I lavori in Albania e Grecia sono già stati avviati da tempo, mentre in Puglia si registra la feroce mobilitazione di amministratori locali e rete.

Poi quello East Med che potrà collegare il Mediterraneo orientale all’Europa, attingendo dalle enormi risorse di gas off shore del Leviatano, a nord di Israele.

Adriatico. Dal Tap alla Centrale Snam di Sulmona, passando per l’estrazione del gas nel lago di Bomba, e fino al metanodottto Larino-Chieti. Insomma, al di là di come i territori stanno reagendo, sarà il gas il re assoluto del 2018 e, piaccia o meno ai disfattisti di casa nostra, anche il Mediterraneo tornerà finalmente ad avere un ruolo nevralgico.

 Impaginato Quotidiano

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