La CIA ha recentemente pubblicato il sessantunesimo volume della raccolta “Studies in Intelligence, Journal of the American Intelligence Professional”, un vero e proprio manuale di studio interno all’agenzia di spionaggio più famosa del mondo, utile a promuovere l’approccio scientifico e la ricerca sui temi dell’intelligence e della raccolta informativa.
Il volume, declassificato, raccoglie gli approfondimenti relativi al mese di dicembre 2017 e vanta tra i contributori alcuni dei più importanti analisti che hanno impreziosito il lavoro dell’agenzia nel corso della storia recente. Nella pubblicazione diversi sono i riferimenti all’Italia e ai nostri servizi di intelligence.
È, ad esempio, assai interessante la recensione di David S. Robarge sul libro di Jefferson Morley dedicato alla figura di James Jesus Angleton, intitolato “The Ghost: The Secret Life of CIA Spymaster James Jesus Angleton”.
Robarge, tra gli storici più illustri dell’agenzia, richiama con dovizia di particolari l’autorevolissima storia di Angleton, comunemente riconosciuto come uno dei protagonisti del passaggio dall’OSS (Office of Strategic Services) alla Central Intelligence Agency, insieme a William Donovan.
Angleton, che trascorse buona parte della sua vita in Italia nel periodo a cavallo tra gli anni trenta e cinquanta del novecento, fu una delle colonne portanti nei rapporti tra l’Italia liberata e l’OSS, poi divenuto CIA. La ricerca è finalizzata a inquadrare il personaggio in chiave storica ed evitare che voci e leggende allontanino la sua figura dalla realtà.
Ad esempio, l’autore osserva come la spia americana non abbia avuto ruoli di condizionamento nelle prime tornate elettorali dell’era repubblicana ma sia stato un eccellente recruiter in uno dei momenti storici più delicati del secolo scorso per un Paese, il nostro, che usciva dalla seconda guerra mondiale e già si preparava a vivere gli anni difficili della guerra fredda. Non mancano nel libro i richiami agli ottimi e assai proficui rapporti intessuti con la controparte italiana da Angleton, cui è riconosciuto il titolo di padre nobile della CIA.
Il volume offre, poi, preziosi spunti di approfondimento su un tema assai caro a Roma nell’attuale contesto internazionale: la cooperazione di intelligence in Libia negli anni antecedenti l’intervento militare del 2011 e la destituzione di Mu’ammar Gheddafi. Il compito di affrontare una tematica così delicata è affidato a William Tobey, oggi Senior Fellow al Belfer Center for Science and International Affairs. Nella sua ricerca “Cooperation in the Libya WMD Disarmament Case” vengono toccati tutti i punti critici, i successi e gli insuccessi che hanno caratterizzato gli anni precedenti alla caduta del regime, portando alla destabilizzazione che tocca direttamente gli interessi strategici italiani.
A riguardo, Tobey afferma che “l’intelligence è stata la chiave per aprire la Libia ai programmi clandestini”. Prendendo come riferimento il tema del confronto sulla ricerca di armi di distruzione di massa, l’autore richiama le attività di cooperazione internazionale cui ha partecipato anche Roma nello sforzo di carpire clandestinamente informazioni sui programmi nucleari libici e sulla minaccia all’occidente rappresentata dal regime poi capitolato. Il contributo italiano viene inquadrato come essenziale sia da un punto di vista strategico che operativo, indispensabile per gli americani al fine di avere un reale polso della situazione nell’inaccessibile contesto nordafricano.
Nel volume è poi possibile reperire numerosi altri riferimenti, diretti e indiretti, alla cooperazione e al contributo offerto dall’intelligence italiana nei rapporti con l’agenzia di spionaggio americana. Tutti i richiami esprimono la professionalità e la competenza riconosciute agli apparati informativi del nostro Paese, sulla cui base l’Italia vanta un fortissimo credito di stima. I rapporti con l’Italia sono, dunque, prioritari per l’intelligence USA anche grazie ai proficui canali tenuti aperti e alimentati a Washington e Roma.