Il rappresentante nordcoreano al Comitato olimpico internazionale ha detto che il suo governo è pronto a far partecipare i soli due atleti qualificati (due pattinatori artistici) alle Olimpiadi invernali che si terranno a febbraio in Corea del Sud. Pyongyang ha accettato anche la proposta di Seul per un primo incontro tecnico per programmare questa partecipazione che già il presidente Kim Jong-un aveva annunciato nel suo discorso di inizio anno.
L’incontro sarà martedì 9 gennaio, e sarà il primo meeting ufficiale tra rappresentanti di alto livello delle due Coree dal dicembre 2015. I due paesi hanno già riaperto il canale di comunicazione speciale che è stato congelato nel 2016, quando venne chiuso (a febbraio) il complesso industriale congiunto di Kaesong sul 38esimo parallelo (la linea geografica che segna il confine tra i due stati tracciato dopo la Seconda guerra mondiale). Anche in questo caso, racconta l’esperta di mondo asiatico del Foglio, Giulia Pompili, il primo contatto era arrivato il 2 gennaio da Panmunjeom, villaggio nordcoreano di confine dove martedì avverrà l’incontro nella cosiddetta Peace House: un ufficiale del posto di comunicazione tattico aveva contattato il corrispettivo del Sud per testare le linee (telefoniche e fax) di comunicazione. Ossia: questo avvicinamento olimpico è preso da Pyongyang come “una cosa seria”, almeno per il momento.
Il Nord sa che strategicamente la cosa può funzionare: a Seul s’è insediato da qualche mese Moon Jae-in, un presidente che non ha mai nascosto l’idea secondo cui i problemi della penisola — i rapporti tra i due paesi — sono una questione locale, che vanno risolti dagli attori locali. La convinzione di Moon è anche frutto di una ricerca sul consenso: la maggioranza dei sudcoreani crede che il dialogo sia la sola soluzione, teme un qualsiasi genere di conflitto (come logico che sia viste le catastrofiche conseguenze potenziali), fino ad arrivare a criticare la presenza militare americana in Corea del Sud. Nell’ottica di Kim la strategia c’è: aprire canali di comunicazione potrebbe servire a creare un cuneo tra Washington e Seul. Un distacco è impossibile, ma un allontanamento momentaneo non è da escludere: basta leggere con quanta rapidità Moon ha spalancato la porta allo spiraglio olimpico di Kim, quasi fosse in ansia per iniziare una qualche forma di dialogo.
Al di là dei tuoni che partono dalla Casa Bianca, due giorni fa è stata resa pubblica la decisione di sospendere le esercitazioni militari congiunte tra forze armate sudcoreane e americane. La richiesta era stata avanzata da Moon come messaggio distensivo verso il Nord: la sospensione durerà per il periodo delle Olimpiadi, e sarà il termine con cui Seul risponde alle aperture di Kim; che, è giusto sottolinearlo ancora, sono state piuttosto contingentate e accompagnate dalla solita retorica muscolare. Il dittatore nordcoreano detesta lo schema a due tra Seul e gli americani, sostiene che la presenza dei soldati di Washington in Corea è il motivo che lo ha spinto all’Atomica (è propaganda, la Bomba serve a crearsi la deterrenza adeguata per costruire una forte postura regionale), ed è periodicamente innervosito dai wargame congiunti (che in effetti spesso simulano un attacco contro Pyongyang). Anche la Cina non ama lo schema: Pechino ha più volte proposto la strategia del doppio congelamento, ossia mettere tutto il proprio impegno per chiedere a Pyongyang di congelare il programma nucleare, ma in cambio Washington dovrebbe sospendere le esercitazioni con Seul e più che altro mettere in freezer la stretta partnership militare. L’America ha sempre risposto picche, e l’apertura olimpica di questi giorni non sta cambiando effettivamente lo schema strategico, ma la sospensione temporanea è interessante nel contesto attuale che aiuta a dipingere il quadro della situazione.
Il New York Times non è per niente benevolo con la presidenza americana, ma in un articolo una delle grandi firme del quotidiano (Mark Landler) centra il punto: mentre le due Coree decidono modi e tempi per far arrivare i pattinatori (la diciottenne Ryom Tae-ok, e Kim Ju-sik, il compagno) al villaggio olimpico, Donald Trump, il presidente americano che ha alzato una retorica aggressiva nei confronti della Corea del Nord anche come test per coinvolgere la Cina su un dossier di possibile cooperazione, “guarda da bordo campo”, scrive il Nyt. La vicenda delle Olimpiadi ha messo la questione, al momento, su JB piano locale, e Pechino sorride: i cinesi ritengono indispensabile questo dialogo interno alla penisola coreana, e soprattutto vorrebbero l’esclusione degli Stati Uniti dagli affari regionali, dove, in una visione francamente utopica, vorrebbero spadroneggiare come unica potenza (a questa lettura si lega la volontà del doppio congelamento, che, dal punto di vista strategico, per Pechino sarebbe un modo per annacquare la presenza americana nel Paifico). A richiamare all’ordine delle cose ci ha pensato il Giappone: Tokyo segue da vicino la vicenda, è attore locale super-interessato (tutte le isole dell’arcipelago sono nel raggio dei missili di Kim). Gli apprezzamenti per il dialogo olimpico sono di facciata, la linea molto più probabile sia quella espressa nero su bianco dall’editorial board del Yomiuri Shimbun, giornale conservatore giapponese, che chiede di non abbassare la guardia con Kim: bene l’apertura del canale interno per le Olimpiadi, viva lo sport, ma nessuno allenti la pressione internazionale contro il Kim Atomico, per primo Seul a cui è richiesto di non far saltare lo schema d’argine (lettura che piacerà a Washington, un po’ meno a Pechino).