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Ecco cosa (non) si è concordato sulle migrazioni a Med 7. Parla Matteo Villa (Ispi)

Sei capi di governo si sono riuniti ieri a Roma, ospiti d’eccezione del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, per il vertice del Med 7: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta. Un solo file rouge, appartenere all’Europa meridionale, quella fascia di Stati che più viene incalzata dalla Commissione per ridurre spesa e debito, ma che è anche accomunata da una responsabilità sconosciuta a taluni Stati del Nord e dell’Est Europa: la prima accoglienza dei migranti che giungono dall’Africa.

E soprattutto di questo infatti si è parlato ieri: riforma dell’Ue e migranti. Sulla prima le proposte, è noto, non sono sempre in sintonia, specie dal lato dell’unione monetaria. Quanto all’emergenza migratoria, il messale è lo stesso dei mesi scorsi. Difficile riuscire a contare i richiami alla solidarietà verso i Paesi di prima accoglienza, Italia e Grecia, susseguitisi nel 2017 in un tam tam fra la Commissione di Jean-Claude Juncker, il Parlamento europeo, le cancellerie nazionali. Diversa è la fase dell’attuazione, che vede ancora Roma con il timone delle operazioni di soccorso, le isole e i porti del Sud Italia destinati, per ragioni geografiche, ma soprattutto per i Regolamenti europei di Dublino, a restare in prima linea per accogliere chi fugge dall’Africa.

“Sull’emergenza migratoria ci sono state ottime parole, ma le divisioni restano”. Questo un primo bilancio per Formiche.net del vertice Med 7 di Matteo Villa, responsabile del programma migrazioni dell’Ispi. “Il vertice – ci spiega – è nato per dare seguito al tentativo, fatto dalla Grecia nel 2016, di fare sponda da sud per controbilanciare l’asse dei Paesi del nord e, sul tema delle migrazioni, i Paesi del blocco di Visegrad”. Qualche passo effettivo verso la solidarietà c’è stato negli ultimi anni. Basti pensare che gran parte del successo (relativo) del partito tedesco di destra Afd a settembre si spiega con il risentimento verso Angela Merkel per gli 800mila migranti, la maggior parte siriani, fatti entrare nel Paese nel 2015. “É vero, francesi e tedeschi hanno appoggiato il governo italiano sul lato dei ricollocamenti e delle domande di asilo” ammette l’esperto dell’Ispi, “ma si sono tappati le orecchie per quanto riguarda i migranti economici, lasciando all’Italia la responsabilità dell’accoglienza”.

Una strada percorribile è quella normativa. Il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato ieri della necessità di “armonizzare le regole europee”. Le norme di Dublino infatti, commenta Villa, “sono insostenibili per gli Stati di prima accoglienza, anche se al momento non c’è nessun consenso politico in Ue per modificarle”. È sotto gli occhi di tutti: “a fine novembre il Parlamento ha approvato una riforma dei regolamenti di Dublino che trasformerebbe i ricollocamenti di emergenza in operazioni standard, con un’equa ripartizione delle quote di migranti”. Non è stato abbastanza, tanto che la riforma “si è già arenata in seno al Consiglio Ue. Finché non si troverà il consenso politico, si dovrà continuare a operare a margine dei regolamenti di Dublino. Su questo almeno Francia e Italia sono in sintonia”.

Un’altra strada, anche a questo è servito il faccia a faccia fra Gentiloni e Macron al Med 7, è intervenire direttamente in Africa per bloccare il traffico illegale dei migranti. È quel che farà l’Italia con la spedizione di un contingente militare, sotto il cappello della Nato, in Niger, il punto nevralgico delle rotte degli schiavisti. Lì, in mezzo al deserto del Sahel, la Francia è presente con un corposo contingente dal 2012. “La missione in Niger ha diminuito i flussi in questi mesi, ma allo stesso tempo ha tanti rischi, e uno di questi è destabilizzare un Paese continuamente sull’orlo della guerra civile” chiosa Villa. Un rischio che corrono anche i soldati italiani: “Nel nord del Paese c’è una comunità di Tuareg e un’altra che si chiama Tebu – spiega Villa – che di fatto sopravvivono grazie alla gestione del traffico dei migranti. Se contrastiamo le migrazioni irregolari senza offrire alternative a queste popolazioni rischiamo di farli tornare indietro alla guerra civile di dieci anni fa con il governo centrale”

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