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Gentili partiti, le elezioni non sono Sanremo. Un minimo di serietà, please!

elezioni, m5s

La campagna elettorale per le politiche del 2018 è partita subito in grande. Dopo una primitiva incertezza iniziale, non destinata tuttavia ad esaurirsi, relativa alle alleanze previste dalla quota maggioritaria, eccoci giunti al momento delle sortite quotidiane e dei cosiddetti spot, segnati spesso da contraddizioni che si consumano dalla mattina alla sera.

Questa, d’altronde, è la politica, si dirà. E certamente lo è. Anche se è bene che non sia solo questo.

Veniamo al sodo.

Il Pd, per bocca del suo segretario Matteo Renzi, in una fase di oggettiva problematicità, ha espresso la sua contrarietà a qualsiasi possibile ipotesi di larghe intese post elettorali con FI. Dall’altra, Silvio Berlusconi ha fatto lo stesso nei riguardi del Pd.

Bene. Si tratta di una premessa chiarificatrice importante, volta a spingere i rispettivi elettori verso una partecipazione identitaria e anti trasformista al voto. D’altronde, se questa malaugurata idea multicolore dovesse tornare in pista, magari per formare un governo di coalizione dopo il 4 marzo, sarà solo perché le elezioni nel suo complesso, compresa la legge elettorale, avranno fallito il compito di dare una maggioranza e un’opposizione politica netta al Paese.

I guai specifici del Pd sono legati, invece, alla polemica sulle banche, e al fatto che la positività dei risultati economici del governo Gentiloni non sono percepiti dalla nomenclatura come un successo politico del centrosinistra ma come un’insidiosa minaccia personale, quasi che il buon effetto di questa amministrazione sia quello di un esecutivo tecnico e non politico.

La polemica, ad esempio, tra il ministro Carlo Calenda e la dirigenza Pd documenta che il fine dell’ex premier è di essere concorrenziale con tutti, soprattutto con i suoi alleati di qualità. Restando ancora sul centrosinistra, il nodo gordiano più temibile, e anche quello meno risolvibile, resta la presenza esterna di Liberi ed Uguali, la quale, comunque andranno le cose, toglie voti al Pd e offre il quadro di un sintomatico macrocosmo progressista lacerato profondamente all’interno ed estremamente polemico all’esterno.

Il cammino è lungo e difficoltoso anche per il M5S. I Grillini, infatti, sembrano non sentire altra vocazione ormai se non quella di perseverare con l’antipolitica in altra forma, questa volta in doppio petto. Luigi Di Maio, dopo aver stemperato l’antieuropeismo, sembra scavalcare la destra in tutto, perfino nella lotta contro la Legge Fornero e gli studi di settore.

Anche quando la politica si fa calda, tuttavia, non vale solo quello che si dice, ma l’autorevolezza e il modo che si ha nel dirlo. Governare una nazione come l’Italia, infatti, non è solo candidarsi a prendere voti in Tv, dicendo quello che la gente sente, costi quel che costi, ma proporre se stessi come guida di qualità di una nazione potente, complessa ed eterogenea, com’è e resta la nostra: cosa quest’ultima sistematicamente trascurata specialmente dai pentastellati.

Sul fronte del centrodestra, il patto di Arcore sembra tenere ai colpi mediatici quotidiani e ai divergenti obiettivi interni. Il caso Maroni, che poteva essere una trappola mortale, è stato sedato da Berlusconi con la scelta caduta per la Lombardia sul candidato leghista Attilio Fontana.

Certo, la cancellazione del Job Acts, voluta fortemente da Matteo Salvini, ha generato qualche difficoltà in FI, come, d’altronde, l’idea di abrogare i vaccini obbligatori. In ogni caso per adesso la coalizione tiene e si allarga al centro. E questo sta contando positivamente nei sondaggi.

Un consiglio politico generale che può essere dato, in questo momento, è non certo di trasformare la campagna elettorale in un incomprensibile e improprio confronto accademico, ma almeno di non ridurre la discussione solo a sortite momentanee, superficiali, evitando del tutto l’autocontraddizione continua e la volgare caciara da osteria.

Il Paese oggi è molto cambiato: a votare saranno generazioni nuove, qualitative, più intelligenti rispetto al passato, giovani totalmente refrattari alla mediocrità politicata estemporaneamente sui social media. La serietà e lo spessore personale sono percepiti come i requisiti più importanti per persuadere ad andare a votare per qualcuno.

La politica, si sa, è sempre gioco di interessi e lotta per vincere. Tuttavia in ballo qui non c’è unicamente la vittoria agonale, come in un incontro di Box, ma il bene di un’intera nazione. L’Italia deve essere la finalità assoluta e la premessa maggiore imprescindibile nelle diverse ricette che le forze politiche propongono agli italiani. Se manca questo parametro oggettivo, allora meglio seguire X-Factor o un partita di calcio che recarsi al seggio.

La vera scommessa, insomma, è che la politica trovi in se stessa la dovuta autosufficienza e la reclamata professionalità intellettuale, in modo tale che chi prende i voti abbia anche le credenziali per governare, non dovendo ricorrere a figure autorevoli diverse e non legittimate dalle urne. Per avere questo frutto finale bisogna soprattutto che i leader investano per primi sul proprio prestigio con perseverante costanza e sapienza: uno status comportamentale continuo incompatibile, evidentemente, con la tendenza generale a spararla grossa, purché sia più grossa degli altri, a tutti i costi e ovunque capiti.

Governare non è organizzare il Festival di Sanremo, e non è intrattenere gli spettatori in un teatro. Governare significa avere una visione unitaria articolata e profonda di chi siamo stati, di cosa siamo e di che cosa vogliamo essere. Una visione complessiva da trasmettere ai cittadini, con cui sia possibile accompagnare poi, se si vincono le elezioni, tante persone, così diverse tra loro, verso un bene comune superiore agli interessi individuali. È necessario, in sostanza, avere anzitutto un’idea chiara e granitica di quello che l’Italia è, per poi spiegare bene che cosa s’intende fare tutti insieme per essere comunità di eccellenza nel condominio mondiale delle nazioni.

La soluzione, in definitiva, è semplice.

Prima il bene politico dell’Italia. Dopo gli interessi economici particolari. E mai le battute da circo e il carosello d’avanspettacolo.


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