Skip to main content

Maria Latella racconta il ’68 dal punto di vista delle donne

Articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista Formiche

Il femminismo del ‘68 poteva essere la chiave per creare una società più giusta, paritaria e, probabilmente, felice. È stata la vera, unica rivoluzione ancora viva, anzi più che mai al centro dell’attenzione. E degli attacchi. Quella rivoluzione femminista ha cambiato molto, è stata a sua volta bloccata e al centro della controriforma degli anni 80 e 90. Ora sembra riprendere slancio. Ma, come si dice nei romanzi, facciamo un passo indietro e torniamo a quella data: 1968.

Parte di quel che il Sessantotto ha rappresentato, nel bene e nel male, è stato rimesso in discussione nei decenni successivi. A cominciare dalla critica al capitalismo, sepolta negli anni 80 dalla sfrontata sicurezza del Gordon Gekko di Wall Street: “Greed is good” , essere avidi è una buona cosa,  e confermata poco dopo da un ancor più potente messaggio: “Arricchirsi è glorioso”, col quale Deng Xiaoping traghettò la Cina dal comunismo alla globalizzazione.

Molto di quel che il ’68 aveva demonizzato, per esempio l’autorità dei padri, viene oggi rimpianto. Molto di quel che si è smontato in un paio d’anni, non può essere rimontato allo stesso modo: il sistema scolastico, per esempio.
Soltanto da una di quelle rivoluzioni sessantottine non è stato possibile tornare indietro: la rivoluzione femminile. Scrivo femminile e non femminista perché dal femminismo del ’68 il processo è andato avanti, espandendosi. Oggi non tutte le trentenni nate negli anni 80 si definirebbero ‘”femministe”, anche se una di loro, Beyoncé, ha voluto che sullo schermo dello show per gli Mtv awards comparisse la scritta “Feminist”, a caratteri cubitali. Certo, in occidente e sempre più in oriente, anche le trentenni sono più consapevoli dei loro diritti e della loro forza. Il caso Harvey Weinstein, con tutti gli strascichi che stanno squassando il mondo dei media (ultimo lo scandalo Vice) e dello spettacolo, la politica e, sia pur più timidamente, tutte le aziende, altro non è che la conferma di questa consapevolezza.

Dopo essere tornate indietro per vent’anni, tra la metà degli Ottanta e l’inizio del Duemila, dopo aver re-introiettato un modello femminile dettato da una controriforma maschilista (“sii bella e cerca di piacere a un uomo ricco e potente”), oggi col caso Weinstein e con la copertina di Time che celebra l’hashtag “Me too”, si segna un punto sostanziale nella marcia verso l’essere coscienti della forza e del ruolo delle donne.

Una marcia avviata, appunto, negli anni 60. Con la diffusione della pillola, quel controllo della fertilità che ha dato agli umani di sesso femminile un potere dal quale prima erano escluse. Il mondo occidentale è stato rivoluzionato da uno slogan “l’utero è mio e lo gestisco io”. Entrare in controllo della maternità, in molti casi rinunciandovi del tutto, è stato il più profondo dei cambiamenti innescato dal ‘68. 

È vero, a cinquant’anni di distanza, si constatano i danni, si fa il bilancio dei prezzi pagati. Società invecchiate senza ricambio, la maternità negata, spesso con rimpianto, da molte generazioni di donne e oggi inseguita un po’ ossessivamente anche a 50 anni. Le donne hanno scelto di non riprodursi più, o di riprodursi molto meno, soprattutto nei Paesi nei quali la politica è rimasta gestita da uomini incapaci di una visione. Si poteva prevedere che l’uragano femminista del ‘68 non si sarebbe fermato. Si poteva prevedere che le donne non sarebbero tornate tanto facilmente in cucina. Si è scelto invece di ignorare la realtà, di fare come se niente fosse. Ma la realtà si prende le sue rivincite, indifferente ai danni che l’assenza di realismo procura.

Così oggi, a distanza di cinquant’anni, siamo qui a rimpiangere quel che poteva essere e non è stato. Partendo dallo slogan “l’utero è mio e lo gestisco io” si poteva costruire una società più libera e più uguale, più serena e felice. Abbiamo invece una società di donne sole e di uomini narcisi che scappano dalle responsabilità e dalla famiglia.
Il ‘68 ha dato certo più consapevolezza alle donne. Ha creato percorsi grazie ai quali oggi sono più forti e più libere. Ma la libertà ha un prezzo, le donne l’hanno pagato e lo stanno pagando ancora più di tanti altri che, dopo il ‘68, sono tornati comodi sotto le ali della controriforma.



×

Iscriviti alla newsletter