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La priorità immigrazione e le (bislacche?) ricette elettorali dei partiti

C’è un verbo che aleggia sul cielo dell’immigrazione: gestire. Dopo anni di scontri frontali tra opposte strategie politiche, l’emergenza della scorsa estate ha costretto il governo di centrosinistra a dare una svolta “securitaria” al fenomeno con le iniziative del ministro dell’Interno, Marco Minniti: dal codice di condotta per le Ong (ricordate le polemiche e l’incisiva inchiesta della commissione Difesa del Senato?) agli accordi con le autorità libiche. E’ stato Minniti il primo a spiegare la necessità di certi interventi i cui risultati sono oggettivi, anche se tutto è migliorabile, dicendo che nessuno ha la bacchetta magica e che un fenomeno epocale come le migrazioni dall’Africa non può essere bloccato, ma va gestito. Appunto.

Aumentano gli sbarchi

La dimostrazione che la questione resta complessa viene dai dati ufficiali del ministero dell’Interno che al 23 gennaio indicano in 2.749 i migranti sbarcati quest’anno, quasi il 14,9 per cento in più dello stesso periodo dell’anno scorso. Il Viminale, dall’inizio del 2018, pubblica i numeri evidenziando gli arrivi dalla Libia che finora sono 2.195 rispetto ai 2.226 dell’anno scorso (meno 1,39 per cento). Sta nascendo però un problema, cioè quasi il 13 per cento in più di arrivi da altre coste e i più numerosi non provengono dal Centro Africa, ma da Pakistan (257 arrivi), Tunisia (232) e Libia (192), ai primi tre posti della graduatoria. Detto che i trafficanti cambiano itinerari a seconda delle necessità, aumentano parecchio i tunisini mentre i libici sono una novità perché fino all’anno scorso sui barconi in partenza dalla Libia non ce n’era nemmeno uno. Gli ottimi rapporti diplomatici con la Tunisia e gli aiuti che quel Paese sta ricevendo da Europa e Nato dovrebbero consentire di affrontare e risolvere il problema.

Le ricollocazioni languono

La collaborazione europea non è ancora sufficiente, anche se nell’ultimo vertice tra Paolo Gentiloni ed Emmanuel Macron il presidente del Consiglio ha ribadito che riguardo ai flussi migratori “il problema è di gestire la cosa insieme”. Anche qui parlano i numeri: al 31 dicembre scorso la ricollocazione in Europa si è limitata ad appena 11.464 immigrati e altri 698 sono in attesa di ricollocazione. Oltre 10mila sono eritrei. L’anno scorso l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) ha curato il rimpatrio volontario assistito di 15mila persone dalla Libia verso i paesi di provenienza e l’Ue ha comunicato ufficialmente che la collaborazione con l’Oim punta a rimpatriarne altri 15mila entro febbraio di quest’anno. Numeri significativi rispetto al passato, ma minimi rispetto a quanti sono in Libia: da diverse centinaia di migliaia a 1 milione, a seconda delle fonti.

Pochi hanno diritto all’asilo

E’ stato respinto il 61 per cento delle domande di asilo esaminate nel mese di dicembre 2017, che comprendono anche domande presentate nei mesi precedenti. Solo l’8 per cento dei richiedenti ha ottenuto l’asilo propriamente detto, il 6 per cento la protezione sussidiaria e il 25 per cento quella per motivi umanitari. Si arriva così al problema strettamente italiano: la gran parte degli immigrati presenti sul territorio nazionale non ne ha diritto, sono i cosiddetti “migranti economici” che tutte le istituzioni, internazionali e italiane, ritengono debbano essere rimandati indietro. Nel frattempo, crescono i problemi: per esempio Lampedusa rischia di diventare una polveriera. Nei giorni scorsi nell’hot spot sull’isola è scoppiata l’ennesima rivolta di tunisini, nazionalità che non comporta di norma il diritto all’asilo: scontri con le forze dell’ordine, un carabiniere ferito, in precedenza un tentato omicidio tra tunisini, aumento dei furti nelle abitazioni dei turisti disabitate d’inverno, il sindaco Totò Martello che protesta con il Viminale. Ce n’è di che discuterne in campagna elettorale.

Le ricette miracolose (e opposte)

Naturalmente, ogni politico pensa che la propria gestione sia, o sarà, più bella di quella del suo avversario. Così tutti i partiti, dai più rigidi ai più aperti, hanno cominciato a usare quel verbo, gestire, offrendo al proprio elettorato una visione diversa a parità di vocabolario. All’indomani della pessima frase sulla “razza bianca” pronunciata dal leghista Attilio Fontana, candidato governatore della Lombardia, il suo avversario Giorgio Gori (Pd) gli ha risposto che “un candidato serio si deve proporre di gestire l’immigrazione”. Come? “Cercando di dare un senso al tempo che i richiedenti asilo trascorrono nelle nostre comunità” anche imparando la lingua e un lavoro “come in Germania”. Però il ministro Marco Minniti dice che devono lavorare a beneficio delle comunità che li ospitano solo se lo vogliono. Come si conciliano le due posizioni? A Fontana ha replicato anche Pierfrancesco Majorino, assessore al Comune di Milano. Indovinate che verbo ha usato? “L’immigrazione è un tema molto complesso da gestire”.

Salvini, Berlusconi e Di Maio

Gli oggettivi risultati della politica di Minniti non possono essere negati dal centrodestra e così Matteo Salvini si concentra sulle espulsioni: “Non ci siamo, voglio espellere un po’ di clandestini in più e far entrare un po’ di clandestini in meno”. Purtroppo la geopolitica è radicalmente cambiata nell’ultimo decennio e oltre, oggi è molto difficile stipulare accordi di riammissione con certi Paesi che non vogliono o non possono rimettersi in casa gli immigrati irregolari. Anche Silvio Berlusconi insiste sulla necessità di rimpatriare i migranti, ma le dichiarazioni che arrivano da Bruxelles non sono chiare. Il leader di FI auspica uno snellimento delle procedure di identificazione e l’abolizione della possibilità di appello. Qui bisogna capire meglio perché il decreto immigrazione Minniti-Orlando ha già abolito il doppio grado di giudizio e dopo il parere della commissione territoriale l’immigrato può solo ricorrere in Cassazione. Berlusconi, sembra di capire, vorrebbe limitarsi al giudizio della commissione (ipotesi giuridicamente discutibile) e “trasformare il foglio di via definitivamente con trasporti nostri nei paesi di origine”. E se non li rivogliono indietro? Bisogna fare in modo “che accettino la ‘restituzione’, diciamo così, dei loro concittadini”. Il problema è tutto lì: come stipulare gli accordi.

La soluzione di Luigi Di Maio, invece, qual è? Oltre a una logica cooperazione internazionale per stipulare quegli accordi, il programma del M5S prevede l’assunzione di 10mila persone (ripetiamo: 10mila) da assegnare alle commissioni territoriali e far definire in un mese chi ha diritto a restare e chi non ce l’ha.

Meloni, Boldrini e Bonino

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, non molla sul “servizio taxi degli scafisti” e non è modo questo “di gestire l’immigrazione” mentre il presidente della Camera e candidata di Leu, Laura Boldrini, il 10 gennaio a Otto e mezzo all’obiezione di che diavolo significa “gestire” rispose così: “Gestire andando alla causa della fuga” e “bisogna lavorare di più nell’accoglienza in modo strutturato, l’integrazione non avviene con la bacchetta magica, bisogna lavorarci”. L’obiezione resta in piedi. Ancora più contraddittoria è la posizione di Emma Bonino, leader di +Europa, che a pochi giorni dall’accordo con il Pd ribadisce che il piano Minniti ha creato “un tappo in Libia” e che “serve una politica di integrazione dei 500mila irregolari”, cioè sanarli. Le sfugge che Minniti, ora, è suo alleato.

Il sondaggio

Su questo tema è significativo il sondaggio Ixè per l’Huffington Post: alla domanda su quale schieramento si ritiene più credibile, su immigrazione e sicurezza ha prevalso il centrodestra rispettivamente con il 42 e il 44 per cento. Limitandoci all’immigrazione, il centrosinistra (cioè il Pd) ha ottenuto il 26 per cento, il M5S il 22 e Leu l’11 per cento. Era assolutamente scontato che il tema dell’immigrazione sarebbe stato centrale perché è determinante la percezione del cittadino comune nella vita quotidiana. Il sondaggio non significa che quella del centrodestra sia la ricetta magica e basti ricordare che in Libia Muhammad Gheddafi, sempre ricordato da Berlusconi, è morto nel 2011. Quel sondaggio certifica però che, nonostante gli sforzi di Minniti, gran parte degli italiani chiede un’ulteriore accelerazione. Nei giorni successivi al 4 marzo sarà interessante analizzare i flussi (elettorali, non migratori).

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