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La politica della scarsezza artificiale di moneta. Il caso indiano

moneta

Ci narra Erodoto che sarebbe stato Creso, il Re della Lidia, la terra dalla quale, secondo Livio, sarebbero arrivati gli Etruschi, ad inventare la moneta imprimendo il suo sigillo all’electrum, una lega naturale di argento e oro. Era, sempre secondo le storie antiche, un ripiego temporaneo. La lega sarebbe prima o poi finita; e molto del materiale estratto e sigillato sarebbe stato tesaurizzato, come sempre accade con la “moneta buona”; mentre quella che non si apprezza con il tempo viene scambiata a grande velocità con beni e servizi.

Tanto è scarsa la moneta, poi, quanto più aumenta, a parità di beni e servizi disponibili, la necessità di credito. Oggi, peraltro, ci troviamo sempre più spesso ad avere a che fare con politiche che tendono ad evitare l’uso della moneta come tale o a limitarlo, per il pericolo di favorire il riciclaggio di denaro “sporco” proveniente dalla malavita organizzata, o dalla corruzione, o comunque dalle tante attività illecite. Dal punto di vista logico, queste normative ricordano da vicino certi regolamenti di polizia cittadina del nostro Ottocento, che proibivano alle osterie il possesso e l’uso di coltelli affilati.

Se si confonde il mezzo con l’uso e, nel caso del denaro, si abolisce proprio la caratteristica tipica della moneta, da Creso in poi, ovvero quella di essere universalmente valida nel suo corso legale, allora l’economia cessa letteralmente di esistere. O si tesaurizza tutto o si spende tutto, senza quindi una qualche idea del rapporto tra valore e prezzo. Anche la Bce, che non se ne perde una, di novità, cesserà di stampare le banconote da 500 Euro nel 2018, che però restano a corso legale e sono obbligatoriamente convertibili agli sportelli della banca di emissione.

Gli scambi in moneta quindi non sono più liberi, poiché ogni transazione dovrà essere controllata da un passaggio bancario specifico che, secondo gli ingenui estensori di queste leggi contro il denaro, dovrebbe rassicurare sulla legalità degli scambi. Passaggio bancario che può essere anche un credito, così la banca riesce a guadagnare da ciò che prima rimaneva uno dei suoi obblighi formali. E peraltro, chi ci garantisce che le banche non siano collegate con i passaggi di denaro sporco?

Con la fine della filosofia, allora, cessa anche la razionalità applicata alla vita pratica della gente. Sono questi i pensieri che vengono in mente quando si legge della demonetizzazione dell’economia indiana voluta, circa cinquanta giorni fa, dal premier indiano Narendra Modi. Entro il 31 dicembre scorso, così statuisce la norma di Nuova Delhi, tutte le banconote da 500 rupie (7,5 Euro) e 1000 rupie, i due tagli medi della monetazione indiana, dovranno essere depositate forzosamente in banca, dalla quale saranno possibili i ritiri dell’equivalente versato sia in tagli più piccoli o, addirittura, più grandi, 2000 rupie o più. Il fine governativo era quello di stroncare la corruzione, l’economia informale, l’evasione fiscale.

Il problema è che l’economia illegale o, comunque, “nera” o informale è l’unica della quale possano vivere le infinite masse di indiani poveri. Se si inserisse una qualche forma di controllo fiscale o comunque giuridico tra le mille attività di intermediazione dei poveri, esse cesserebbero d’incanto. E allora, come potrebbero sopravvivere i poveri? Ve lo immaginate un venditore di tè, per le strade di Mumbay, che rilascia il “regolare scontrino fiscale”? E quanto costerebbe la immane macchina dei controlli?

Peraltro, l’India ha oltre un miliardo di poveri, induttivamente censiti, senza parlare dell’usura nelle campagne, generata proprio dalla intermediazione tra lavoro e proprietà fondiaria, usura immobiliare che sposta continuamente verso le megalopoli masse di sottoproletariato agricolo di recente formazione. Il Pil pro-capite indiano è di 1718 dollari Usa l’anno.
Quello della Cina attuale è il triplo, pur con un rapporto tra Città e Campagna, asse della formazione del capitalismo e della crisi dei vari comunismi, che è per certi aspetti simile a quello indiano, pur con una diversa politica di investimenti nell’agricoltura.

Gli indiani che guadagnano redditi paragonabili a quelli del Primo Mondo sono appena 320 milioni, mentre sono solo venti milioni le famiglie della Federazione Indiana che posseggono risparmi per oltre un milione di Euro. Il miliardo di poveri e poverissimi, in India, arriva al massimo a 3 dollari Usa al giorno. Il 50% dei bambini indiani è rachitico, le malattie di ogni genere sono diffusissime e, quindi, diminuisce l’età media dei poveri, unico sollievo alla loro miseria terrena. E, magari, si vorrebbe che tutte queste masse entrassero in una banca, la facessero guadagnare con i loro cambi, per far crescere la raccolta e poi, cosa? Favorire l’apertura di credito ai clienti migliori, come sempre.

Se poi un miliardo e oltre di persone usano, o credono di usare, bancomat, Pos, carte di credito, aumentano le tasse e le trattenute sulle transazioni e, naturalmente, ugualmente impossibile tracciare il denaro illecito. È come se il governo indiano regolarizzasse proprio una delle tecniche primarie del riciclaggio di denaro sporco, lo smurfing, ovvero la separazione del malloppo in tante piccole quote da scambiare con soldi puliti. E i risultati della normativa indiana sulla banchizzazione forzata del denaro naturalmente non si sono fatti attendere.

Il lento ritiro del contante nuovo ha rapidamente bloccato tutta l’economia indiana, sia quella legale, piccola, che quella informale, immensa. I prezzi degli alimentari sono crollati del 50%. Perché i poveri non hanno più denaro per acquisire il loro già scarso cibo. Il tutto è avvenuto senza peraltro immaginare gli effetti di questo crollo dei prezzi sui redditi agricoli. In alcune aree di produzione di riso e di altri beni per l’alimentazione i contadini, vedendo che il prezzo spuntabile non copriva nemmeno la metà delle spese di trasporto, hanno distrutto i raccolti gettandoli per le strade, con l’immediato effetto di una carestia di massa e mortale.

Sta finendo in India anche l’artigianato, che era anch’esso parte dell’economia informale, come il commercio al minuto. Le banche, come era ovvio, sono sempre più lente nell’erogare l’equivalente del versato, guadagnano sul tempo dei depositi, investono, prestano ai clienti primari i denari raccolti. Sta allora, in India, ritornando il baratto, l’unico modo conosciuto dall’uomo per sostituire l’”equivalente universale”, la moneta. Ma questo implica una frantumazione ulteriore della società indiana per caste, per etnie, per aree geografiche, per clan familiari.

Anche l’export in cui l’India eccelleva subisce la folle crisi da demonetizzazione moralistica. In genere le aziende più moderne denunciano una caduta delle vendite del 25%; e non si riesce a immaginare come, in questo contesto, l’India possa avere delle normali relazioni economiche con l’estero. Naturalmente le organizzazioni criminali, le uniche che possano lucrare da queste belle idee monetarie, si sono subito fatte avanti proponendo uno sconto al cambio del 20% delle vecchie monete; ed ecco che l’eterogenesi dei fini economici consente alle mafie quel riciclaggio che, prima, era molto più difficile.

Anche Narendra Modi, peraltro, ha il suo teorico, che non è stavolta un tecnocrate occidentale, ma Anil Bokil, il fondatore di un movimento politico e finanziario chiamato Artakranti, “rivoluzione monetaria”. Secondo questo bello spirito, che non ha niente da invidiare ai nostri economisti da strapazzo, la massa dei capitali illegali è proprio quella che fa aumentare i prezzi dei beni vitali (immobili, soprattutto) mentre il denaro guadagnato onestamente, che si nota subito, perderebbe di valore quando quello “cattivo” cresce.

Ci vorrebbe la penna al curaro di Vilfredo Pareto per irridere a queste ideologie ma, ricordate, molti nostri economisti laureati non sono poi lontani da teorie similari. Se si demonetizza, aggiunge per buon peso il nostro teorico Anil Bokil, la ricchezza “nera” si autoelimina, mentre aumenterebbe di valore il denaro dei poveri, quello “buono”. Anche Bokil, peraltro, ha la sua Tobin Tax tascabile: se la demonetizzazione sarà completa e il denaro nero sarà scacciato, allora potremo abolire tutte le tasse, salvo appunto una “Tobin” dell’1% per ogni transazione. Intanto i conti correnti dei poveracci indiani sono bloccati per mancanza di contante e le banconote nuove sono così mal stampate che si possono riprodurre con facilità, facendo presagire grandi fasti per i “soldi neri”. E una inflazione peggio che weimariana per tutta l’India.

Anche l’Australia, in questa febbre da ebetudine economica che sta prendendo gran parte dell’Asia, vuole far sparire il biglietto, cattivo cattivo, da 100 dollari australiani, 70 euro circa, responsabile di ogni nefandezza morale nella terra dei canguri. E difatti la parola “canguro” deriva dalla anglicizzazione della frase dei nativi kangaroo, ovvero “non lo so”, “non capisco”. Qui la logica è ancora errata, come quella del mistico monetarista indiano, ma ha un suo senso scioccamente occidentale.

Se infatti si abolisce una moneta che serve soprattutto alla tesaurizzazione privata, allora aumenta immediatamente la liquidità dei mercati. Non è detto, ma loro lo pensano lo stesso, hanno studiato in qualche università della Ivy League, sono dispensati dall’uso della logica e dallo studio dei classici. Già, ma cosa dovrebbero utilizzare gli australiani per la tesaurizzazione dei loro risparmi? E se non tesaurizzassero, come potrebbero pagare mutui, tasse, bollette, affitti? Useranno le noci di cocco? Gli avocado? Non si può, deperiscono a vista d’occhio e i figli, mangiandoli, diventerebbero immantinente dei capitalisti.

Il fatto è che banche e governi vogliono aumentare la quota di credito detenuta dalle famiglie, abolendo la loro autonoma riserva di denaro. Un po’ come è successo con la grande gelata dei salari dalla introduzione dell’Euro in poi. Tanto diminuivano stipendi e salari in termini reali, quanto aumentava la quota di prestiti al consumo. La privatizzazione, con ricche percentuali, dell’aumento salariale.

Se, quindi, non si penserà di nuovo ad una economia che possa funzionare anche per la povera gente, magari con una piccola tassa da pagare una tantum ogni anno, non usciremo mai da questa gabbia di matti indù, monetaristi, keynesiani da salotto, ignoranti vari e dottrinari senza alcuna idea della vita pratica.



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