A poche ore dagli scontri armati presso l’aeroporto di Tripoli tra un gruppo estremista e milizie vicine al governo di unità nazionale di al-Sarrāj (nella foto), Formiche.net ha raccolto l’analisi di Karim Mezran, resident senior fellow dell’Hariri Center presso l’Atlantic Council di Washington DC.
Mezran, gli scontri all’aeroporto di Tripoli segnano un bilancio provvisorio di almeno 20 morti e oltre 60 feriti. Quali sono le sue valutazioni sull’accaduto?
La notizia della perdita di un numero così alto di vite è dolorosa e sconfortante. Con tale premessa corre l’obbligo di guardare agli scontri di Tripoli da una prospettiva fattuale, attribuendo una dimensione concreta all’accaduto e ai possibili effetti sul piano nazionale ed internazionale. In base alle informazioni a disposizione si può dire che ad agire sia stato un gruppo di estremisti – definirli milizia è eccessivo – che avrebbe cercato di attaccare una prigione all’interno dell’aeroporto per liberare alcuni detenuti. Il fattore positivo nella tragedia è stato che non solo le milizie di Abdurraouf Kara, poste a controllo dell’aeroporto, abbiano reagito con forza all’attacco ma, ancor di più, che a seguito della proclamazione dello stato di emergenza da parte di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj le altre milizie sui territori circostanti si siano organizzate per intervenire e riportare la situazione alla normalità. Credo sia questo il dato più interessante da tenere in considerazione rispetto all’accaduto.
Quale significato attribuire all’intervento delle milizie lealiste?
Nella negatività dell’attacco e delle perdite umane, non possiamo non considerare in chiave positiva la reazione da parte delle forze vicine al governo di unità nazionale. Senza voler sminuire la gravità della tragedia, va dunque sottolineata la compattezza e la capacità di coordinamento delle milizie che controllano il territorio. Un dato non proprio scontato o privo di rilevanza strategica.
La capacità di controllo del territorio di Sarrāj non sarebbe dunque messa in discussione.
Esatto. Non considero l’attacco come un colpo fatale per le forze di unità nazionale e non credo che si possa in questo modo inficiare la legittimità di Sarrāj. C’è una lezione che in qualche modo emerge dalla tragedia di queste ore: andare contro una delle milizie che appoggiano Sarrāj significa andare contro le altre forze presenti sul territorio.
Quali sono state le reazioni degli attori internazionali interessati alla Libia?
Credo che la vicenda abbia avuto una dimensione ed una rilevanza prettamente nazionale. Sul profilo internazionale non penso vi possano essere significativi cambiamenti da parte delle forze interessate alla Libia. Il fatto stesso che l’attacco sia partito da un gruppo fondamentalista uniforma le prese di posizione. Su questo punto mi domando quali sarebbero state le reazioni se ad agire fosse stata una milizia vicina al generale Haftar, per esempio.
In che senso?
Prendere posizione contro un gruppo di estremisti non è particolarmente difficile. Anche per questo non si registrano divergenze nelle condanne espresse dalla comunità internazionale rispetto all’accaduto. Se l’attacco fosse partito da un gruppo palesemente vicino agli oppositori del governo di unità nazionale probabilmente si sarebbe avuta una diversa risposta da parte di alcuni attori interessati alla Libia. È proprio questa la cartina di tornasole.
Possiamo approfondire il tema?
Andiamo per ordine e guardiamo alle reazioni registrate. Gli Stati Uniti putroppo sono abbastanza assenti in Libia. Continua a non esservi un ambasciatore e non c’è un inviato speciale nominato dall’amministrazione. I russi, insieme agli egiziani, hanno espresso preoccupazione per l’accaduto, attribuendogli una dimensione prettamente interna. Il fatto che ad agire sia stata una milizia islamista ha anche allineato la reazione di Italia e Francia. Tutto sommato il fronte internazionale è stato compatto. Come dicevo, non si sono registrate voci divergenti. Non essendo state toccate le dinamiche e gli equilibri di potere è stato facile prendere una posizione per i paesi concretamente coinvolti, sebbene con interessi differenti, in Libia.
Ci saranno ripercussioni sull’operato dell’Italia nel Paese?
Credo e penso che l’Italia cercherà di essere più presente sul territorio e che proverà a far sentire la propria presenza con maggiori aiuti. Ciò potrà significare anche l’invio di un maggior numero di trainer e forze di stabilizzazione. L’evento di oggi è come un segnale. Si è capito che continua ad esserci qualcuno che cerca di alzare la testa. Tale segnale comporta la necessità di rafforzare Sarrāj anche militarmente. Questo può avvenire con l’invio di istruttori, di forze di sicurezza o in altri modi. In ogni caso una riflessione sul rafforzamento militare e su un coordinamento più efficace degli attori schierati va fatta. In altre parole, un pensiero in più per l’Italia è immaginabile.