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Questione di razza. La riflessione di Karima Moual

Sul web, soprattutto in questo ultimo anno, spopolano in lingua araba video con una narrazione semplice e comprensibile che ripercorrono la storia del mondo musulmano. L’ultimo che ho visionato è quello del giornalista marocchino Tourabi Abdellah che prova a raccontare la storia del Marocco di oggi, ripercorrendo il suo passato di una popolazione Amazigh che prima di abbracciare l’islam arabo fu una storia di ebraismo, cristianesimo e altre credenze. Si sottolinea quanto la loro identità – non solo religiosa – fosse plurale.

Un passo notevole per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto la diversità facesse parte del proprio bagaglio culturale. Consapevolezza fondamentale in questi tempi, dove si fa a gara tra chi riesce meglio a restringere lo spazio del proprio “io”, ripescando un’ identità monocolore, storicamente e scientificamente inesistente, ma che sappiamo bene può partorire mostri. Ma la minaccia di questi puristi di ultima generazione non riguarda solo l’Occidente, dove le destre xenofobe avanzano rispolverando vecchi fantasmi del passato con un vocabolario che pensavamo averlo lasciato alle spalle.

I puristi dell’identità monocultuturale, che per esempio nel nostro Paese, scomodano il termine “razza”, nonostante le smentite scientifiche degli stessi genisti (Richard Lewontin, fu il primo genetista a chiarire senza ombra di dubbio il mito dell’esistenza di differenti razze umane, se non nella nostra immaginazione) mi fanno pensare ai movimenti islamisti conservatori ed estremisti quando accentuano i toni sulla Umma islamica; e abbiamo visto dove sono arrivati!

Per questo, al di là della spiegazione scientifica – che in verità interessa poco l’esercito dei puristi che si richiamano a una fantomatica razza – quello che davvero importa a questi movimenti conservatori è evitare qualsiasi incontro o scambio, tra persone o idee diverse dalle proprie. E ciò accade nel momento più basso della loro esistenza, che combacia anche con il sentimento della paura. Le “altre razze”, nel loro immaginario è l’immigrato, il musulmano, il diverso soprattutto se povero, dunque nero. E qui sta la loro ignoranza anche del significato del termine.

La storia del mondo musulmano insegna quanto fosse ricco e senza paure quando la sua esistenza si reggeva su un pluralismo di provenienze, culture e religioni. Ha iniziato la sua decadenza nel momento in cui si è chiuso. Vedere oggi gli intellettuali arabi sul web fare uno sforzo enorme nel proprio paese per arginare dal basso l’avanzata xenofoba e conservatrice dei movimenti islamisti, promuovendo una storia plurale non può che rassicurarci. Sentire però dall’ Italia, paese nel quale vivo da più di 26 anni, che la paura ha preso il posto della ragione, facendoci discutere sul termine di razza, mi porta a domandarmi: dove sono? In che epoca mi trovo?

Me lo chiedo dopo aver riletto il bel libro di Christopher Duggan, “La Forza del Destino, Storia d’Italia dal 1796 ad oggi”, un ritratto storico travagliato di una moltitudine di Italie e identità. E poi, nello stesso momento in cui, la polemica si accende sui migranti verso la razza bianca (intesa italiana), mi chiedo anche che fine ha fatto la memoria degli italiani come migranti. Quando a fine ‘800, negli Stati Uniti, erano considerati tutt’altro che “bianchi” ma una via di mezzo, più vicina a quella “nera” però.

Gian Antonio Stella, nel suo libro “L’Orda, quando gli albanesi eravamo noi” ricostruisce una storia sconvolgente dell’emigrazione italiana, fatta di discriminazione e persecuzione che dovrebbe essere inserita nei libri scolastici, perché l’unico pericolo per la razza umana è l’avanzare di una razza chiusa e soprattutto ignorante della propria storia. Ecco, non vorrei che stessimo facendo proprio questo passo.

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