Sta per arrivare il via libera parlamentare alla partecipazione italiana alle missioni internazionali per il 2018 con le due rilevanti novità annunciate nei giorni scorsi: il nuovo impegno in Niger e un confermato impegno in Libia, pur con una diversa modulazione. L’audizione dei ministri degli Esteri, Angelino Alfano, e della Difesa, Roberta Pinotti, davanti alle relative commissioni di Camera e Senato ha preceduto il voto dell’aula di Montecitorio fissato per il 17 gennaio.
I RISCHI DEL NIGER
Lo scopo ufficiale, ribadito dal ministro Pinotti, è il rafforzamento delle capacità dei militari nigerini e la richiesta all’Italia è stata formalizzata il 1° novembre 2017 dopo un incontro bilaterale della fine di settembre. Il numero massimo di militari impegnati quest’anno sarà 470, con una media di circa 250, oltre a 130 mezzi terrestri e due aerei. Il costo annuo sfiora i 50 milioni e i primi 120 uomini saranno schierati nel primo semestre. L’intervento di Paolo Romani (capogruppo di Forza Italia al Senato) ha permesso di chiarire un paio di dubbi: considerando che gli Usa in quell’area svolgono solo un’attività antiterrorismo, Romani si è chiesto quali fossero le regole d’ingaggio degli italiani: un conto è limitarsi all’addestramento, un altro controllare i confini, senza contare la lunga distanza della nostra base dalle coste. Pinotti ha chiarito che il supporto logistico avverrà solo via mare e che comunque la missione bilaterale “non è combat” perché “non nasce per mettere le sentinelle ai confini: i nigerini ci hanno chiesto di aiutarli a diventare capaci di controllare i loro confini”. Le regole d’ingaggio, dunque, saranno le stesse dell’Iraq e dell’Afghanistan con le misure di sicurezza necessarie. Sono comunque previste anche unità per attività di intelligence.
RIDUZIONE IN IRAQ E AFGHANISTAN
Il ministro della Difesa ha confermato le ipotesi circolate nei giorni scorsi: in Afghanistan il contingente dovrebbe scendere da 900 a 700 unità, appena alcuni alleati accetteranno di sostituirci in determinati assetti, mentre in Iraq la riduzione sarà di 700 unità (di cui circa 180 dal contingente che protegge la diga di Mosul), quasi dimezzando l’attuale impegno complessivo di circa 1.500 unità. In tutto, dunque, 900 militari che nei prossimi mesi potranno essere impiegati altrove. Come sempre quando si modificano i numeri in missioni internazionali, le decisioni hanno effetti indiretti sugli alleati, con i quali c’è una condivisione politico-operativa, e gli Stati Uniti considerano fondamentale la leadership italiana sia in Iraq che in Afghanistan.
LA SICUREZZA E L’INTERESSE NAZIONALE
I due ministri hanno ribadito quanto già espresso nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, sull’interesse nazionale che è alla base di una missione del genere. Un interesse nazionale, ha rimarcato Andrea Manciulli (Pd), “in un quadro di evoluzione della minaccia complessiva”. In quell’area, infatti, comandano Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico) e Al Murabitun, che più di altre collegano strettamente terrorismo e criminalità organizzata impegnata nel traffico di esseri umani, armi e droga. Dunque, secondo Manciulli è fondamentale “un supporto alle volontà locali” anche incoraggiando il G5 Sahel.
L’ATTIVITÀ DIPLOMATICA
Alfano ha citato un numero significativo per dimostrare la buona volontà del Niger: dai suoi confini i passaggi di migranti sono scesi da 330mila del 2016 a 62mila del 2017, secondo dati ufficiali dell’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni). L’Italia non si muove solo militarmente, ma anche politicamente: il titolare della Farnesina ha ricordato, dopo la riapertura dell’ambasciata di Tripoli, quella in Niger dove non c’era mai stata, quella in Guinea dove mancavamo dal 1998, la sede in Burkina Faso e un inviato speciale per il Ciad. Più in generale, si conferma l’attenzione alle aree di maggiore interesse: tutta l’area del Mediterraneo, i Balcani, il Medio Oriente.
LA LIBIA E LA TUNISIA
La novità libica riguarda una razionalizzazione delle missioni attuali: la missione sanitaria Ippocrate, con l’ospedale di Misurata, e il supporto alla Guardia costiera libica lasceranno il posto a un’unica missione (di cui non è stato reso noto il nome) e il numero massimo di militari sarà di 400 anziché degli attuali 375. La differenza starà nella qualità: Pinotti ha fatto chiaramente intendere che l’impegno a Misurata calerà e si deciderà il tipo di aiuto in base alle esigenze libiche. I mezzi terrestri saranno 130, aerei e navi saranno presi dalla missione Mare sicuro. Il costo annuale sarà di 49 milioni.
L’Italia, inoltre, parteciperà a una missione Nato in Tunisia con 60 unità. Il 23 gennaio il ministro Pinotti sarà a Tunisi per l’incontro bilaterale annuale che però stavolta sarà più significativo anche a causa delle attuali tensioni interne in quel Paese.
M5S eE LEU
Vincenzo Santangelo (M5S) ed Erasmo Palazzotto (Leu) hanno confermato con accenti diversi la contrarietà a tempi e modi delle missioni. Non è un caso, infatti, che sono i loro partiti ad avere ottenuto il voto dell’aula di Montecitorio sulle missioni, nonostante lo scioglimento, anziché il via libera in commissione. Gli interventi militari e le polemiche connesse, pur se le missioni sono fondate su esigenze di sicurezza nazionale, saranno inevitabilmente temi da campagna elettorale.