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Così Papa Francesco ha chiesto scusa alle vittime di abusi

Fedele al suo stile, al suo carisma e alla sua personalità, Papa Francesco, sul volo di rientro dal Perù, ultima tappa del suo viaggio latino-americano, si è assunto le sue responsabilità, chiedendo scusa alle vittime degli abusi: “In Cile ho parlato due volte sugli abusi: davanti al governo e nella cattedrale con i sacerdoti. Proseguo con la tolleranza zero iniziata da Benedetto XVI. E in cinque anni non ho firmato una sola richiesta di grazia. Se la seconda istanza conferma la prima, l’unica via di uscita è appellarsi al Papa chiedendo la grazia. In cinque anni ho ricevuto circa 25 casi di richieste di grazia. Non ne ho firmata una. Per quanto riguarda il caso Barros: l’ho fatto studiare, investigare. Davvero non ci sono evidenze di colpevolezza. Chiedo che vi siano delle evidenze per cambiare la mia posizione. A Iquique, quando mi hanno chiesto di Barros, ho detto: il giorno in cui avrò la prova parlerò. Ho sbagliato a usare la parola ‘prova’, parlerei piuttosto di ‘evidenze’: so che molta gente abusata non può avere delle prove. Non le ha e non può averle, o se le ha ne prova vergogna: il dramma degli abusati è tremendo. Mi è capitato di incontrare una donna abusata 40 anni fa, sposata con tre figli, che non riceveva la comunione perché nella mano del prete vedeva la mano dell’abusatore. La parola ‘prova’ non era la migliore, direi piuttosto ‘evidenza’. Nel caso di Barros, ho studiato e ristudiato, non ci sono evidenze per condannarlo. E se condannassi senza evidenza o senza certezza morale, commetterei io un delitto di cattivo giudizio”.

Le parole di Papa Francesco tengono dunque conto di quanto detto dal cardinale O’Malley, responsabile della pontificia commissione per la tutela dell’infanzia istituita proprio da Papa Francesco, ma non lasciano il vescovo Barros, che il papa svela aver presentato due volte le sue dimissioni: “Quando è scoppiato lo scandalo Karadima, si è cominciato a vedere quanti sacerdoti formati da lui erano stati abusati o erano stati abusatori. Ci sono in Cile tre vescovi che Karadima ha mandato in seminario. Qualche persona della conferenza episcopale aveva suggerito che rinunciassero, si prendessero un anno sabbatico, per far passare la tempesta: sono vescovi bravi, buoni, come Barros che aveva vent’anni di episcopato e stava per finire il suo mandato da ordinario militare. Si diceva: chiediamogli le dimissioni. Lui è venuto a Roma e io ho detto no, perché questo significava ammettere una colpevolezza previa. Ho respinto le dimissioni. Poi quando è stato nominato a Osorno è sorto questo movimento di protesta: ho ricevuto da lui le dimissioni per la seconda volta. E ho detto: no, tu continui! Si è continuato a indagare su Barros, ma non emergono le evidenze. Non posso condannarlo, non ho evidenze, e mi sono convinto che sia innocente”.

Bergoglio non crede nel castigo, e non vuole castigare il vescovo che è convinto abbia servito con correttezza la sua Chiesa ma sulle vittime aggiunge: “Su ciò che provano gli abusati, devo chiedere scusa. La parola ‘prova’ ha ferito molti di loro. Dicono: devo forse andare a cercare una certificazione? Chiedo scusa a loro se li ho feriti senza accorgermi, l’ho fatto senza volerlo. E mi provoca tanto dolore, perché io li ricevo: in Cile due incontri si sanno, altri ci sono stati di nascosto. In ogni viaggio sempre c’è qualche possibilità di incontrare le vittime, si è pubblicato l’incontro di Filadelfia, altri casi no. Sentire che il Papa dice loro: portatemi una lettera con la prova è uno schiaffo! Mi accorgo che la mia espressione non è stata felice e capisco, come scrive Pietro in una delle sue lettere, che l’incendio si sia sollevato. È quello che posso dire con sincerità”. Per lei, lo incalzano i giornalisti, la testimonianza delle vittime non è una evidenza? “La testimonianza delle vittime è sempre un’evidenza. Nel caso di Barros non c’è evidenza di abuso…”. Ma l’accusa, insistono, non è di aver abusato, è di aver coperto gli abusi…  “Anche di questo non ci sono evidenze… Ho il cuore aperto a riceverne”. Il caso dunque non si può dire chiuso, il papa lascia aperta la porta a una revisione del suo giudizio, ma gli occorrono evidenze, quelle che davanti a casi del genere è sempre difficilissimo trovare.

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