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Pesce azzurro in Adriatico, non sono le quote la risposta (dell’Ue) alle imprese italiane

Premessa. I piani pluriennali sono una buona idea. Non solo nella gestione della pesca, come quelli avanzati dalla Commissione Ue su acciughe e sardine in Adriatico, ma in generale come modus operandi. Ma proprio perché “pluriennali” non possono essere avanzati sulla base di dati discordanti o che non tengano effettivamente conto di un significativo numero di prassi.

Lo sfruttamento sostenibile delle risorse è al centro della proposta di Regolamento che istituisce un piano pluriennale per gli stock di piccoli pelagici nel Mare Adriatico. Si tratta del terzo piano pluriennale che la Commissione propone dall’ultima riforma della Politica Comune della Pesca ma, di fatto, il primo centrato ad hoc sul Mediterraneo. I pesci nel Mediterraneo, infatti, non sono mai stati soggetti a piani in cui si stabilivano dei limiti massimi di cattura (le sole eccezioni sono avvenute recentemente per il pesce spada e per il tonno rosso).

Oggi la commissione vorrebbe ricostituire gli stock di specie come la sardina, l’acciuga, lo sgombro e il sugarello, tramite delle quote imposte ma con il rischio di zavorrare un comparto che solo negli ultimi sei anni ha già perso in Italia il 50% della sua potenzialità.

Nel caso di piccoli pelagici nel Mare Adriatico i dati sono scarsi e mostrano molte incertezze, ha osservato il Prof. Corrado Piccinetti, del dipartimento di Biologia e Scienze Geologiche dell’Università di Bologna in occasione dell’audizione sulla Proposta di Regolamento Ue tenutasi giorni fa al Parlamento di Bruxelles. E se le catture italiane nell’Adriatico rappresentano oltre il 50% delle catture totali italiane, qualsiasi restrizione alle catture in Adriatico colpirebbe quindi tutta la pesca italiana di piccoli pelagici, con il rischio per l’Italia di doversi attrezzare per poi dover importare quel pesce azzurro di cui invece il nostro mare è pieno. Un autogol.

“Servirebbe una eco survey che verifichi davvero lo stato delle biomasse in Adriatico relative ai piccoli pelagici prima che dati teorici e discordanti”. Questa la proposta del capogruppo di Forza Italia al Parlamento Europeo Elisabetta Gardini, relatrice del PPE all’audizione. Secondo Gardini nella pesca dell’acciuga e della sardina praticata nell’Adriatico quasi tutte le imprese di pesca e la grande maggioranza delle imprese di trasformazione sono microimprese o pmi. Per cui la diminuzione delle catture produrrebbe un aumento dei prezzi di prima vendita, con un danno specifico ai consumatori e al settore della trasformazione italiano, che potrebbe dover aumentare le importazioni da altri paesi e in secondo luogo una crisi nella filiera collegata.

E aggiunge: “In un momento caratterizzato da un crollo verticale del pescato che ha toccato il 50% in pochi anni, lo scopo di tale audizione è quello di dare fiato alle preoccupazioni delle pmi, al fine di individuare soluzioni aderenti alla realtà che trovino un punto di equilibrio tra sostenibilità ambientale e sostenibilità biologica. Con le regole già poste in essere si è volontariamente ridotta la quantità del pescato. Ma adesso non credo sia utile usare il dato del pescato, ripeto diminuito volontariamente, per dire che le biomasse sono diminuite. Per cui il nuovo piano rischia di essere un boomerang per le nostre imprese”.

Per cui sì al rispetto per l’ambiente ma anche per il pil di chi fa impresa in Adriatico anche perché è dal 2013 che si sono messe in campo regole per la gestione dei piccoli pelagici, ma mentre alcune sono entrate in vigore nel 2014 altre solo nel 2015. “Se teniamo conto che servono almeno 5 anni per valutare i risultati, – è la posizione di Gardini – è troppo presto per prendere ulteriori misure”.

Utile ricordare che il comparto rappresentato dai piccoli pelagici rappresenta un pezzo rilevantissimo del pil-pesca in Adriatico, come dimostrano i dati del 2013 quando fecero segnare un fatturato di 74 milioni, con acciughe e sardine che rappresentavano il 97% della catture di piccoli pelagici nell’Adriatico. Ad oggi la loro gestione è affidata a misure internazionali che assieme a quelle nazionali appaiono sfilacciate e non coese.

Ma se da un lato appare evidente l’esigenza di armonizzare leggi e commi dei singoli Stati, dall’altro non può essere tralasciato l’impatto che il piano avrebbe sulle pmi italiane che, da Trieste ad Ancona, gravitano attorno a sardine e acciughe. E senza dimenticare che la pesca non è un business parificato ad un’altra forma industriale come la costruzione di un manufatto, dal momento che l’elemento naturale (così come in agricoltura) rappresenta già una variabile che non è possibile gestire.

twitter@FDepalo



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