Il tema più importante in questa campagna elettorale è sicuramente l’Europa. Non si tratta di vuota retorica. Negli ultimi anni tutte le politiche nazionali dei Paesi membri dell’Unione hanno dovuto far fronte a moltissimi problemi su questo versante, tra di loro e con l’opinione pubblica.
Si sa: niente è più considerevole oggi per uno Stato che fortificare il proprio ruolo nel consesso europeo, e niente è più popolare che dirsi anti europei. Ciò non è solo legato al cosiddetto fenomeno del populismo, ma al fatto, molto più circostanziato, concreto ed essenziale, che l’alleanza continentale tra gli Stati a nord e ad est del Mediterraneo non ha prodotto nelle tasche e nelle teste dei cittadini molti segni di positività. Il dato è, oltretutto, indice di una politica di Bruxelles che non soltanto non ha svolto e realizzato a pieno la sua valevole funzione meta-nazionale, ma le sue scelte centraliste sono state determinate, influenzate, piegate dagli interessi degli Stati più forti, Germania e Francia in primis, contro Stati più deboli, Grecia, Italia e Spagna in secundis.
Il centrosinistra, nei suoi due tronconi (Liberi e Uguali e PD) sostiene che la stabilità dipenda, nonostante tutto, dalla continuità strenuamente difesa delle politiche di risanamento imposte dall’alto al nostro Paese. Il centrodestra, invece, si muove, con sfumature diverse, in un quadro di decisa revisione del patto di stabilità e, in genere, dei rapporti di forza, tra noi e l’Europa. È in questa logica che ieri, ancora una volta, la linea espressa da Silvio Berlusconi si è differenziata non soltanto da tutto il centrosinistra e dal M5S, ma anche da quella sostenuta con piglio risoluto da Matteo Salvini.
Il quesito riguarda nello specifico se e in che misura l’interesse nazionale, vera premessa di tutto il centrodestra, debba inserirsi nel quadro delle valutazioni e delle indicazioni che ci sono imposte dalla Commissione e dalla Bce.
Salvini parte dall’idea giusta che in Italia il 4 marzo si vota per l’Italia. Gli italiani devono imparare, cosa di grande rilievo, non soltanto a conservare il proprio capitale nazionale ma a farlo valere con la politica. Una ragione dello schizzare in basso nei sondaggi di tutta l’area di Governo è esattamente questo eccesso di zelo verso l’estero, questa sorta di complesso di inferiorità della maggioranza uscente che appare alla gente comune come accondiscendenza interessata e insensata dei protagonisti ai poteri lontani dal Paese. Ciò nondimeno, bisogna stare attenti a non promettere linee programmatiche che ci mettano poi, nel momento della loro attuazione, in maggiori difficoltà rispetto alle tante che abbiamo già. Per questo la posizione moderata di Berlusconi e Noi per l’Italia si rivela, su questo tema almeno, più ragionevole, quantunque per nulla in contraddizione, con quella della Lega.
Berlusconi, nella sua visita ai bureaux di Bruxelles, ha rassicurato che il centrodestra di Governo medierà tra queste divergenze, ed egli sarà garante politico di un atteggiamento fermo e non autolesionista del nostro Paese in materia di politica estera.
La cosa peggiore, nella gestione fin qui perpetrata, è che la politica di rigidità asettica dell’Unione ha determinato disordine. E lo scompiglio è la peggiore iattura che sia possibile attendersi dagli organi di governo, soprattutto se internazionali. Il caos è stato generato da una distorsione prodotta dall’eccessivo autoritarismo economico di vertice perpetrato ai danni delle nazioni componenti e da uno strenuo egoismo miope delle parti in gioco. L’Europa, infatti, o sa essere veramente un soggetto federale, rispettoso ossequiosamente dei soci che la compongono, oppure è destinata ad essere giustamente travolta, e in ogni tornata elettorale sempre di più, dalle intestine spinte autonomiste e secessioniste.
Il mondo è per natura costituito da soggetti comunitari di tipo nazionale, tanto quanto per natura queste sovranità devono essere libere, in relazioni buone e paritetiche tra loro. L’alternativa, infatti, non è la confusione ma la guerra. Rafforzare il peso dell’Italia è sostanziale. Non farsi uccidere dal 3% è imprescindibile. Derubricare gli accordi ad una revisione incentrata sul nostro interesse nazionale è un dovere morale prioritario di chi governerà la Repubblica. Dopodiché, però, anche le sovranità nazionali devono essere ordinate tra loro. Non si può caldeggiare nella gente un desiderio di emancipazione incontrollata, spacciandolo come diritto illimitato, perché questo coincide con la logica rivoluzionaria, per definizione violenta e aberrante, anche se viene da destra.
Identità nazionali forti, dunque, certamente, e interessi nazionali precisi, sicuramente; ma nell’ordine dei corretti rapporti internazionali.
Ci sia concessa una nota finale: essere argine al caos è sicuramente quanto le nostre democrazie occidentali devono imparare a fare con senso di responsabilità. Anche in questo mi pare che sia giusto il ragionamento sull’Italia della Lega. Ma evitare il caos implica sempre che ogni realtà, da quella più piccola a quella più grande, sia forte e consapevole dei propri confini. D’altronde è esattamente questo senso del dovere, del limite sovrano e della realtà propria, a separare categoricamente il patriottismo buono dal nazionalismo cattivo. Ordinare Stati sovrani vuol dire, in fin dei conti, coordinare le loro democrazie sostanziali sia con le altre di parigrado e sia con le istituzioni che hanno un’estensione rappresentativa maggiore, senza, per questo, entrare necessariamente in contraddizione.
Il mondo, in definitiva, ha veramente bisogno di ordine globale, sussidiarietà e logico equilibrio tra diritti interni e doveri esterni, dentro e fuori gli Stati, ad ogni grado personale ed economico della società. Per questa ragione l’ordine internazionale implica che anche il nostro Stato stia saldamente al suo posto, nella sua sovranità, rispettando e onorando se stesso, l’Unione Europea e gli altri Paesi del mondo.