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Putin prova a soffocare quel che resta della tenue opposizione al suo regime

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Nelle ore in cui nella campagna elettorale italiana il nome di Putin viene citato con ammirazione e preso ad esempio (Salvini l’ultimo in ordine temporale), il regime del Cremlino è costretto a mostrare i muscoli. Migliaia per le strade, e in tutto il Paese fin nelle roccheforti di Vladimir Putin; decine di fermi di polizia; il più temuto oppositore dello zar post-sovietico portato via dagli agenti: l’inverno russo ha visto nascere questa domenica la prima vera rete diffusa di opposizione al governo.

Ha superato i 240 fermi, in diverse città della Russia, il bilancio della giornata di manifestazioni indetta da Aleksei Navalny, per chiedere elezioni democratiche alla vigilia delle presidenziali del 18 marzo, a cui non era stato ammesso. Come riporta la Ong Ovd-Info, che monitora le azioni della polizia durante le dimostrazioni, la maggior parte dei fermi, per ora, si è verificata a Ufa, Murmansk e Mosca, dove è stato portato via dalla polizia anche lo stesso Navlany, poco dopo che si era riuscito a unire ai suoi sostenitori. La polizia ha detto che il motivo del fermo è la “violazione della legge sull’organizzazione di manifestazioni e raduni”.

Il comune della capitale russa non aveva accettato la richiesta di tenere la marcia in centro, sulla via Tverskaya, e aveva proposto alcune zone periferiche come alternativa. “No, non andremo nel bosco”, è stata la risposta dell’oppositore, che ha confermato ai suoi l’appuntamento sulla lunga via che porta al Cremlino, diventata ormai il simbolo del dissenso.

Anche se il numero di chi ha deciso di scendere in piazza – sfidando il divieto delle autorità, come è successo a Mosca e San Pietroburgo – è nell’ordine di alcune migliaia di persone quello che risalta ed è significativo è l’estensione geografica della protesta.

Le dimostrazioni sono state infatti indette in 115 città e si sono svolte in ogni angolo del vasto paese: Samara, Novosibirsk, Togliatti, Astrakhan, Kaluga, Vladivostok, fino a Makhachkala, in Dagestan, dove per tradizione il rating di Putin sfiora il 100% dei consensi, e Murmansk, dove i manifestanti hanno sfidato temperature intorno ai -20 . Le proteste erano unite sotto il titolo “Lo sciopero degli elettori”, perché quello che chiede Navalny ai russi è di dimostrare con un vasto astensionismo alle urne il loro il loro sdegno, per elezioni prive di competizione politica e destinate solo a riconfermare Vladimir Putin per un quarto mandato di altri sei anni al Cremlino. Tra gli slogan scanditi tra i manifestanti – soprattutto giovani, ma anche numerosi adulti e famiglie – vi sono “Elezioni + Putin = Russia senza futuro”, “Putin ladro”, “La Russia sarà libera” e “Quarto mandato in prigione”.

La giornata si era aperta con fermi e blitz della polizia a Mosca, negli uffici della campagna elettorale di Navalny, il quale è riuscito a far perdere per alcune ore le sue tracce per poi apparire in via Tverskaya, insieme ai circondati dai suoi sostenitori. Pochi minuti dopo, alcuni agenti lo hanno trascinato via, mentre la folla urlava “vergogna”.

Navalny aveva dichiarato la sua intenzione di sfidare Putin alle urne già nel dicembre 2016. Da allora, per un anno, ha girato il paese organizzando comizi per farsi conoscere dagli elettori e facendo affidamento sui social network, visto che di fatto non ha accesso ai media nazionali. L’oppositore è riuscito ad aprire 84 uffici in diverse regioni e sostiene di aver raccolto 200mila volontari a suo sostegno. A dicembre, la Commissione elettorale lo ha ufficialmente squalificato dalla competizione elettorale, per via di una condanna a cinque anni con la condizionale, comminatagli per frode in un caso che, a suo dire, è politicamente motivato.

Impossibilitato a partecipare alle presidenziali, ora l’oppositore è intenzionato a delegittimare la quasi scontata vittoria di Putin a marzo con un record negativo di affluenza. Ovviamente tutto questo accompagnato dal silenzio italiano ed europeo.

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