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L’immagine di Gerusalemme nella teologia ebraica

gerusalemme

Tutti sanno che Gerusalemme è una “città sacra” per tutte e tre le religioni monoteistiche. Ma è una ovvietà da analizzare anch’essa, come se fosse una questione ancora da scoprire. Per René Guenon, “ogni Tradizione è essenzialmente monoteistica, ogni Tradizione afferma innanzi tutto l’unità del Principio Supremo”. Non vi è Tradizione Unica senza Dio Unico, né identità dell’uomo come tale senza il suo riferimento al Creatore. La città Sacra è quindi necessaria testimonianza visibile della Città Celeste e Unica, come è una e sola la Verità.

La città di Gerusalemme inizia ad avere il ruolo di Città dell’Uomo, ma anche dell’intero popolo ebraico, nel 10° secolo d.C., quando il Re Davide la fa assurgere a luogo in cui Egli siede in giudizio e vi porta anche l’Arca dell’Alleanza.

Essa era, secondo le descrizioni bibliche, una cassa di legno di acacia rivestita di oro all’interno e all’esterno, oltre ad essere molto finemente e simbolicamente decorata, la cui costruzione fu ordinata direttamente da Dio a Mosè, costituendo essa il segno visibile e tangibile, unico tra le tende del deserto di un popolo sempre in cammino, della presenza di Dio tra il Suo Popolo scelto. Ovvero l’anticipo, anch’esso visibile e di Ianua Coeli, della vera Città di Dio; e quindi della Città che assicurerà la salvezza nel momento della fine dei Tempi.

Nella peregrinazione degli Ebrei nel deserto, poi, l’Arca veniva portata sempre insieme al popolo eletto in tutte le sue fermate e luoghi di riposo; ma quando il popolo ebraico entra finalmente in Israele l’Arca viene posta stabilmente nella tenda del Convegno a Silo (Giosué, 18:1). I Filistei poi la conquistarono dopo la sconfitta sul campo degli ebrei e, in seguito a una pestilenza scoppiata nel campo filisteo proprio a causa della presenza dell’Arca, essi decisero di restituirla agli Ebrei dopo soli sette mesi dalla cattura. Sette mesi, limite simbolico ricorrente in tutta la Bibbia.

D’altra parte l’Arca, che contiene le tavole della Legge, valide per ogni uomo, è immagine di Dio, e quando Egli parla dell’Arca utilizza sempre, nella Bibbia, il pronome “Io”. Quando il Primo Tempio di Salomone fu infine eretto, al momento della Consacrazione della Casa (1Re 8:13) il Re sapiente dichiarò che “Dio risiederà nella Sua casa per l’eternità”. Ovvero, che la Città di Dio sarà sempre separata da quella degli uomini, sempre per usare le categorie manichee di sant’Agostino. Ma questa separazione non la renderà né invisibile né impossibile da raggiungere.

Comunque Dio, per intercessione del profeta Nathan, proibisce a Re Davide di edificare un Tempio per custodire l’Arca perché il Tempio, prefigurazione della frase evangelica pronunciata da Gesù, “sarà costruito dalle generazioni future”.

Ovvero l’Arca, simbolo dell’Alleanza, diverrà alla Fine dei Tempi la Città di Dio, manifestazione dell’Alleanza.
Ma fu proprio Re Davide, lo abbiamo visto, non Salomone, a immaginare la costruzione di un Tempio come casa permanente di Dio, come presenza costante e inevitabile di Dio nella Città eterna e sacra, unica comunità possibile della salvezza.

Arrivò poi, nel 585 d.C., a compimento della ben nota profezia escatologica di Gesù Cristo, la distruzione parziale del Tempio e poi, totale, della città di Gerusalemme da parte dei babilonesi. Fu poi costruito il Secondo Tempio, nell’attesa del Ritorno degli ebrei schiavizzati da Babilonia, alla fine del Quinto Secolo d.C., Tempio che fu sconsacrato de facto dai siriani e poi riconsacrato proprio dal popolo, ovvero dalla rivolta vincente dei Maccabei, nel 165 d.C. Il che accadde dopo che i Maccabei sconfissero i regnanti greco-macedoni del regno di Siria, mentre, dopo il 4 D.C., sotto Erode “il Grande”, il Tempio fu integralmente ricostruito. Poi arrivò la sconfitta ebraica di fronte ai Romani, che distrussero totalmente il Secondo Tempio nel 70 d.C. altra profezia, completamente realizzatasi, esposta in tempi non certo sospetti da Gesù Cristo.

Essa, lo ricordiamo, è una Profezia sul ruolo del Suo Corpo consacrato nell’Eucaristia come vero e definitivo “Tempio” che non si distrugge mai, nemmeno dopo la morte e, insieme, la previsione della fine del ruolo politico e unificante del Tempio, Civitas Dei ac Hominis, per la permanenza del popolo ebraico sul suolo di Israele.
Ma quando l’imperatore Adriano tenta di sostituire il Secondo Tempio dell’Alleanza o quel che ne rimaneva con una costruzione sacra integralmente dedicata a Giove, ripetizione per tutto il popolo ebraico dell’alternativa, posta erroneamente davanti a Gesù, di essere il nuovo “Re dei Giudei”, scoppia la rivolta di Bar Kokhba, che lascia sul campo quasi 600.000 cadaveri di soldati ebraici.

Dopo quella rivolta, Adriano decretò che lo stesso nome di “Giudea” non esistesse più nella geografia dell’Impero Romano, fosse sostituito con quello di “Siria Palestina”. La stessa Gerusalemme fu ridenominata come Aelia Capitolina e, come ben sanno i maghi cinesi, togliere il nome significa annullare anche la cosa che lo porta.

Nell’ultima fase, ormai vicinissima a noi, i dati sono ormai ben noti: dopo il Piano di Partizione del 1947, l’ONU ipotizza uno Stato ebraico e uno arabo-palestinese autonomi e separati, ma uniti da un accordo economico di base.
Gli Ebrei accettarono i confini del Piano di Partizione, già molto ridotto rispetto alle aree precedentemente concesse loro dalla Gran Bretagna, e vi proclamarono lo Stato di Israele.

Il 14 maggio 1948, David Ben Gurion dichiara l’indipendenza, che è fondata per Lui sulla natura profonda e inevitabile del rapporto tra universo ebraico e Eretz Israel, la terra dei padri, oltre che sulla necessità, manifestatasi dopo la terribile Shoah, di avere uno Stato libero e indipendente che faccia da faro e da scudo a tutto il mondo ebraico, in ogni altro Paese della Terra. Una sorta di riconsacrazione laica del fine sapienziale e politico del nesso tra lo Stato di Israele. Oltre a ripetere, con questa dichiarazione di indipendenza del 1948, il ruolo dello stato ebraico, tramite proprio Gerusalemme, per la salvezza sia degli Ebrei stessi che del resto dell’umanità.

Senza Gerusalemme e la costante e piena ebraicità del Tempio (e qui non importa che vi siano altre religioni presenti sulla Spianata e nella parte cristiana) non vi è più la ratio della propria storia, e quindi nemmeno il senso e il comando sul proprio destino. Che sono la stessa cosa. E bisogna fare presto, la Finis Mundi, politica e morale, preme su di noi e non ci lascia più vedere la Luce. Quindi, il Regno di Dio, ovvero quello di Gesù Cristo, Figlio dell’Uomo, sta arrivando, così come il redde rationem teologico, politico, militare, strategico tra universo ebraico e le immense masse dell’Islam, con tutte le loro tradizioni autonome.

E sta arrivando, secondo la teologia sciita dell’Iran duodecimano, la lotta finale tra il Dajjal, l’Anticristo, e il Mahdi, il Dodicesimo e ultimo Imam, di fronte al quale si convertirà all’Islam anche Gesù Cristo. Tutti coloro che percepiscono la profondità dei nostri tempi sanno che bisogna “fare presto” e che le vere lotte politiche, oggi, sono anche e soprattutto simboliche, sapienziali, addirittura, se mi si passa qui il termine, esoteriche. E la teologia ebraica degli ultimi anni collega strettamente la presenza di Israele come Stato autonomo alla nuova dimensione spirituale e rituale, ed anche universale, dell’Ebraismo. Particolare e Universale, come al solito.

Ecco perché Gerusalemme e il Suo Tempio sono ancora vitali per il mondo ebraico contemporaneo, qualunque sia la specifica credenza, magari atea o laicista, di ogni singolo Ebreo. Anche nel Levitico 26 si fa riferimento al mantenimento del Patto dell’Arca tra Dio e il Suo popolo prescelto, anche se Israele quel patto lo ha rotto.

Altro tema attuale, la storia di Israele come Stato vista, teologicamente, nel nesso tra ricostruzione del Patto dell’Arca e le necessarie rotture della Legge apportate dal complesso meccanismo storico nato con la dichiarazione di Ben Gurion del 1948. Ed è ancora la tempistica della Fine dei Tempi che definirà, da sola, chi ha vinto e chi ha perso in questa guerra dell’invisibile, più pericolosa e dura di quella che abbiamo visto in Medio Oriente fino a pochi anni fa.

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