Come spesso accade, tocca a Carlo Calenda il ruolo di grillo parlante, del personaggio cioè incaricato di dire le verità scomode. Nelle ore della compilazione delle liste, drammatiche (per gli interessati), la tensione regna sovrana in tutti i partiti. Il Pd è stato il primo a discutere in un organo collegiale i suoi candidati e le prime indiscrezioni hanno suscitato non pochi mal di mancia. A mettere il dito sulla tastiera dello smartphone è stato il ministro dello sviluppo economico che, non volendo correre da deputato o senatore, non intende rinunciare a dire liberamente la sua.
“Quale è il senso di non candidare gente seria e preparata, protagonista di tante battaglie importanti come De Vincenti, Nesi, Rughetti, Tinagli, Realacci, Manconi. Spero che nelle prossime ore ci sia un ravvedimento operoso. Farsi del male da soli sarebbe incomprensibile”. Questo il suo tweet che naturalmente ha fatto molto rumore.
La lista egli esclusi è molto corposa e fa in effetti una certa impressione. La constatazione plastica degli spazi offerti a i cosiddetti “fedelissimi” del segretario del Pd offre poi un’arma in più ai delusi e agli esclusi.
Vedremo nelle prossime ore l’appello di Calenda sarà accolto, soprattutto per la figura di Claudio De Vincenti che è stato ed è una delle più apprezzate figure di governo sin dai tempi in cui era sottosegretario con Monti. Quello che comunque amareggia oggi nel Pd potrebbe essere presto soppiantato dalla presa d’atto dei candidati degli altri partiti nei quali il criterio di vicinanza e fedeltà al capo potrebbe risultare ancora più dirimente. La stessa strategia di Berlusconi di proporsi come statista europeo potrebbe infrangersi nella lettura di candidati che provengono in parte non marginale dalle sue aziende o dai concorsi di bellezza.
Come dire, a ciascuno il suo.