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Tre per cento, la chiave di volta della campagna elettorale di +Europa con Emma Bonino

Di Piercamillo Falasca e Giordano Masini

Quello del 3% rischia di essere un valore simbolico attorno al quale si giocherà molto della campagna elettorale delle elezioni politiche di marzo. Renzi dice che vuole arrivarci proprio vicino, al parametro del trattato di Maastricht che fissa al 3% il rapporto deficit/Pil, senza superarlo ma senza nemmeno provare ad avvicinarsi, come invece sarebbe giusto, al deficit zero. Invece Berlusconi oggi ha ribadito quel che ieri ha detto Salvini: rispetteremo il tetto del 3% solo se l’economia lo consentirà, altrimenti lo sforeremo. Ergo, intendono sforarlo.

Invece è proprio l’economia, oltre che la matematica, a non consentirci di sforare quel valore, che non è piovuto dal cielo ma è l’unico che consente, al tasso di crescita medio del Pil dell’area Euro, di mantenere costante il debito pubblico. È l’economia, oltre che la matematica, a smentire Berlusconi: peggio vanno le cose, più è importante che quel parametro venga rispettato.

Eppure i protagonisti principali di questa campagna elettorale, anche quando non parlano esplicitamente di sforamento dei parametri di Maastricht, propongono politiche che non possono essere che finanziate a deficit, per l’oggettiva mancanza di risorse alternative, e che quindi produrrebbero, se realizzate, un aumento del debito che i giovani e le generazioni future dovranno giocoforza ripagare. È in fondo questa la questione principale: il 3% è un’assicurazione sui nostri figli, sul loro diritto a crescere liberi dal peso della nostra irresponsabilità generazionale ed elettorale.

È questo uno dei principi ispiratori del programma pubblicato da alcuni giorni sul sito di +Europa con Emma Bonino: “La spesa per interessi, pari a 66 miliardi nel 2016 (circa l’8% del totale delle spese), è un macigno nel bilancio dello Stato che determina uno spiazzamento delle risorse nell’economia”. Uno spiazzamento che pagano sulla loro pelle i giovani, che crescono in un ambiente di vita e di lavoro arido e improduttivo, segnato dalla scarsità di investimenti in ricerca, innovazione e sviluppo.

Con +Europa proponiamo ciò che nessuno ha il coraggio di proporre in campagna elettorale: fare gli interessi di chi ancora non può votare, i nostri giovani e i giovani che verranno. Per affrontare il problema dello stock di debito pubblico proponiamo un congelamento della spesa pubblica in termini nominali per 5 anni, la durata della prossima legislatura. Un congelamento in termini nominali che corrisponde a una riduzione in termini reali, se l’inflazione e la crescita economica sono positive.

Meno spesa, quindi, non più spesa. Meno debito, non più debito. E non perché ce lo chiede l’Europa, ma perché ce lo chiedono i nostri figli che sarebbero chiamati a ripagarlo. E per i quali invece va costruito, come diciamo nel nostro programma, un futuro in cui si paghino meno tasse sul lavoro, in cui si possano moltiplicare – nella realtà, non nei proclami di campagna elettorale – gli investimenti in ricerca, formazione, innovazione e sviluppo. Non a caso abbiamo incluso, come allegato e parte integrante del programma depositato al Viminale insieme ai nostri contrassegni, anche il “Piano industriale per l’Italia delle competenze” di Carlo Calenda e Marco Bentivogli, pubblicato il 12 gennaio sul Sole24Ore.

Perché tutto questo sia possibile, è necessario che in Parlamento, nella prossima legislatura, ci sia una sentinella del 3%. Ma gli italiani debbono darci il 3%. Non di deficit, ma di voti. Tre per cento, la chiave di volta di questa campagna elettorale, e della prossima legislatura

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