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Se l’Iran resta più isolato di quanto previsto

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L’amministrazione americana ha deciso di tenere in vita l’accordo sul nucleare iraniano: per altri 3 mesi, ma non più (“Questa è l’ultima volta” ha detto un funzionario della Casa Bianca ai media americani, dopo le due precedenti), Washington continuerà a comportarsi con Teheran come se il Nuke Deal “fosse ancora in piedi”, ma fa sapere che se le cose non cambieranno in questo lasso di tempo, allora uscirà definitivamente.

La decisione annunciata venerdì è una mossa politica con l’amministrazione sottolinea la sua visione anti-iraniana e pone basi solide per isolare Teheran. Attualmente la situazione in Medio Oriente è molto tesa, c’è l’Arabia Saudita che insieme agli Emirati Arabi sta portando avanti su più fronti una politica di contrasto molto acceso all’Iran; c’è la guerra in Siria che sta finendo e riserverà dei nuovi equilibri ancora da costruirsi; ci sono gli attori esterni e i relativi interessi. Sfilare gli Stati Uniti dall’accordo con l’Iran avrebbe potuto acuire questa destabilizzazione, portando potenziali disgrazie. Per ora, dunque, Washington resta ferma, non rinnova le sanzioni pre-accordo – quelle economiche e pesanti, collegate al programma nucleare iraniano che con il deal erano state sospese – ma per non abbandonare nemmeno temporaneamente la linea trumpiana ne alza di nuove. Tra queste alcune legate ai diritti umani violati in Iran: colpito anche il capo della magistratura iraniana, l’ayatollah Sadeq Amoli-Larijani, che ha già replicato che con le nuove misure punitive gli Stati Uniti hanno “superato tutte le linee rosse di condotta nella comunità internazionale” – ma su queste dichiarazioni c’è sempre molta propaganda, ovvia, ancora di più adesso, in un momento in cui mantenere la presa sul consenso è un elemento determinante visto anche le proteste di piazza appena chiuse.

Nell’ottica del presidente Donald Trump c’è un piano: le nuove sanzioni sono un richiamo secco e servono a far capire che Teheran, nonostante l’accordo, è un paese di cui non fidarsi. Per esempio, ci sono i diritti umani che vengono continuamente violati (vedi le manifestazioni finite nella repressione di due settimane fa), e pure le politiche aggressive con cui porta avanti i propri interessi in Medio Oriente. Caso emblematico: 79 pagine di rapporto interno delle Nazioni Unite ottenuto venerdì dalla Associated Press mettono nero su bianco che l’Iran ha fornito armi ai ribelli yemeniti Houthi, che hanno preso il controllo del paese e da due anni sono in guerra con una coalizione guidata dai sauditi, che secondo quello stesso report Onu sta mietendo vittime civili senza scalzare i ribelli; è lo spaccato di una catastrofe, che fa però da ottima cartina tornasole per quello che succede nella regione.

L’obiettivo della Casa Bianca è ottenere una revisione dell’accordo, un follow-on agreement, e far in modo che venga ripreso in mano dal 5+1 stesso (l’organismo multilaterale che lo ha chiuso nel 2015) e ne vengano irrigiditi i termini. Ancora con un esempio: tra le persone colpite dal Tesoro americano ci sono anche elementi dei Guardiani legati al programma missilistico; il Nuke Deal non si occupa dei vettori balistici, su cui comunque pende una risoluzione Onu che li vieta all’Iran. Teheran sta lo stesso studiando i missili – che gli scettici dicono serviranno a trasportare le testate e completare il binomio atomico nel momento in cui il programma nucleare sarà scongelato dallo scadere dei termini del deal – e questo è ovviamente insostenibile per gli americani. Washington punendo quelli che ritiene (lo sa, lo sono) i responsabili del programma cerca di far capire agli alleati dell’accordo che servono misure più intransigenti: per esempio, ispezioni sul posto più rigorose e continue.

È un richiamo severo, di responsabilità nell’ottica americana, ai partner europei. Trump chiede che venga preso atto delle politiche velenose con cui l’Iran porta avanti i suoi interessi, e passa la palla a Bruxelles, spingendo per modificare l’intesa. Teheran ha promesso “reazioni adeguate”, ma la realtà è che Washington – come Israele in altre circostanze – sta mettendo in risalto l’aumento dell’ingerenza iraniana negli affari mediorientali, un’ingerenza che molto si esplica tramite il finanziamento di partiti/milizia che cercano di scalare il poterne interno in molti stati, dall’Iraq al Libano, dallo Yemen alla Siria.

Al momento Francia, Regno Unito e Unione Europea (pezzi del 5+1 insieme alla Cina e alla Russia) non stanno seguendo Trump, alzano inviti alla moderazione, chiedono di evitare mosse scomposte, non vogliono seguire la linea dura, ritenendo il deal un ottimo compromesso. Ieri l’Alto rappresentante per la politica estera europea Federica Mogherini, ha riunito a Bruxelles i ministri degli Esteri francese, Yves Le Drian, tedesco Sigmar Gabriel e britannico Boris Johnson, e con il loro omologo iraniano, Javad Zarif: “Nessuno ha proposto un’alternativa migliore” a questo accordo, ha dichiarato Johnson (l’inglese parla anche sull’onda delle polemiche seguite all’annuncio di Trump di far saltare la visita a Londra).

La mossa di Trump ha l’obiettivo di isolare l’Iran, anche se al momento la riapertura degli interessi economici legata al sollevamento delle sanzioni sembra ingolosire gli europei (per primi gli italiani, ma anche la Francia: l’Eliseo sta tempo programmando una visita di stato in Iran). Mosca ovviamente reagisce: i russi sono gli unici alleati de facto dell’Iran, conseguenza della guerra siriana, di partnership di interessi che sono diventati una convivenza complicata alla corte di Damasco, dove gli iraniani sono diventati una realtà dominante proprio attraverso a quel piano di diffusione armato.

“Stiamo gradualmente arrivando alla conclusione che una decisione interna da parte degli Stati Uniti di lasciare il Joint Comprehensive Plan of Action (nome tecnico dell’accordo, ndr) è già stata presa o sta per essere adottata, e questo potrebbe essere uno dei più grandi errori di politica estera di Washington, un grosso errore di calcolo nella politica americana” è la replica studiata – anche per esacerbare le divisioni in atto, sul tema e non solo, tra Trump e l’Ue – che Mosca ha affidato al viceministro degli Esteri, in un’intervista all’agenzia di stampa Interfax.


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