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Il primo anno di Trump? Il giudizio positivo di Meservey (Heritage)

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Joshua Meservey è Senior Policy Analyst di Heritage Foundation, il think tank più tradizionalmente vicino al partito Repubblicano e certamente quello che maggiormente contribuisce al policy making  dell’Amministrazione Trump. In questa intervista a Formiche.net esprime le proprie valutazioni sul primo anno di presidenza di Donald Trump, rivolgendo un’attenzione particolare alle scelte dell’amministrazione su Mediterraneo e Nord Africa ed alla minaccia ibrida rappresentata dalla Cina.

Meservey, a un anno esatto dall’Inauguration Day quale giudizio esprime sul lavoro di questa amministrazione in materia di sicurezza internazionale e politica estera?

Credo che questo primo anno sia stato più che positivoNon si può parlare di perfezione assoluta ma ritengo che tutto sommato vi siano tante buone considerazioni da condividere. Penso ad esempio che vi sia un numero significativo di iniziative incoraggianti intraprese dall’amministrazione e che questo dipenda dalla prospettiva fortemente realistica adottata dal presidente Trump e dai suoi collaboratori sui temi della sicurezza internazionale e della politica estera. E’ un realismo che è mancato negli ultimi otto anni di relazioni tra gli Stati Uniti e il resto del mondo.

Quali sono le dimostrazioni più evidenti del nuovo realismo statunitense in politica estera?

Penso ad esempio ai più recenti sforzi americani per risolvere la crisi con la Corea del Nord o anche all’impegno per rinnovare le sanzioni verso la Russia, al maggiore supporto logistico e organizzativo in Ucraina per non citare la rinnovata attenzione verso il continente africano e la regione del Mediterraneo. Non si tratta nei fatti di un allontanamento radicale dai temi classici di politica estera statunitense ma di un approccio più efficace e decisivo rispetto al passato. Basti anche solo pensare alla fermezza con cui l’amministrazione rispose meno di un anno fa all’uso di armi chimiche in Siria da parte del regime di Assad. Quello è un esempio lampante della nuova risolutezza di questa amministrazione in politica estera.

Guardando al Mediterraneo e al Nord Africa, quali sono stati i temi caldi e le priorità di questo primo anno di governo?

In cima alla classica continua ad esservi la lotta al terrorismo, un tema che provoca molte preoccupazioni agli Stati Uniti in quella parte del mondoIl radicamento di organizzazioni terroristiche inquieta Washington e influenza anche le relazioni con alcuni Paesi dell’area, tra cui l’Italia. Citerei poi la questione dei flussi migratori. I flussi incontrollati di migranti rappresentano un pericolo non solo per l’Europa ma anche per gli Stati Uniti, che hanno bisogno di un alleato forte e stabile. Da non sottovalutare anche l’influenza crescente di alcuni attori internazionali che tentano di mettere in discussione l’operato americano ed europeo in Africa. Questo emerge molto chiaramente dalla National Security Strategy e dalla National Defense Strategy in discussione proprio in questi giorni. L’aggressività di alcuni Paesi – come la Russia e la Cina – rappresenta un serio fattore di allarme per gli USA.

Il tema dei flussi migratori e dei rifugiati è una priorità per l’amministrazione Trump?

Direi che gli Stati Uniti hanno da sempre guardato con attenzione alla questione dei flussi, ne è una prova effettiva il totale dei finanziamenti e dei fondi che glStates allocano per risolvere il fenomeno. Pur esprimendo un parere del tutto personale, posso dirmi convinto del fatto che l’amministrazione porterà avanti il suo impegno, aiutando i rifugiati e contribuendo per quanto possibile a risolvere le crisi in essere. Pur non collocando la questione dei migranti in cima alla lista delle priorità degli Stati Uniti, mi sento di confermare che c’è una chiara sensibilità da parte nostra sul punto.

Come è visto dagli Stati Uniti il crescente impegno italiano nella regione del Sahel e in particolare in Niger?

Gli sforzi di stabilizzazione di quell’area, cui è collegato direttamente anche l’impegno in Libia, sono apprezzati da questa amministrazione sia con riferimento ad iniziative di singoli Paesi che con riferimento a missioni congiunte. Non dobbiamo dimenticare la vastità di queste operazioni, basti anche solo pensare alle dimensioni delle aree geografiche da controllare. Il Sahel è sconfinato ed il territorio in cui si muovono i gruppi terroristici è davvero difficile da presidiare. Anche per questo motivo penso che sia assolutamente indispensabile cooperare con gli alleati europei, così da massimizzare le risorse a disposizione. Questo mi porta anche a dire che nessun Paese può pensare di risolvere la questione da solo. La cooperazione è necessaria e gli europei possono essere considerati gli alleati naturali degli Stati Uniti per tutte le istanze e i principi condivisi nel corso del tempo. Proprio con riferimento al Sahel è significativo l’impegno di un altro partner europeo, la Francia, che ha una conoscenza profonda di quei territori e della loro storia. Posso confermare che gli Stati Uniti non riescono ad avere lo stesso radicamento degli europei e dunque la presenza dei nostri alleati nell’area diviene ancora più preziosa.

L’Italia può essere un riferimento primario degli Stati Uniti per la regione?

Può esserlo senza dubbio. Soprattutto quando si guarda a quelle competenze che gli Stati Uniti non hanno. Ad esempio il lavoro dei Carabinieri, quale forza armata con capacità ed esperienza nei processi di stabilizzazione, è apprezzatissimo e rappresenta un punto di forza fondamentale per gli americani.

Quanto grave è la percezione della minaccia cinese nel Mediterraneo e nel Nord Africa?

Credo che la percezione sia sempre più grave. Questa amministrazione ne ha fatto una priorità all’interno della National Security Strategy e lo stesso concetto è ripreso nella National Defense Strategy. Si tratta di una minaccia ibrida, geopolitica ed economica al tempo stesso, e ciò aggrava la situazione. Quello che potrebbe essere definito come “il modello cinese” di penetrazione all’interno del continente potrebbe divenire una norma nel corso dei prossimi anni. Anche per questo motivo è necessario per gli USA e gli altri partner lavorare su strategie di contenimento in difesa dei nostri comuni interessi strategici. La sicurezza rimane la priorità principale per Washington in quest’area del mondo ma non si può pensare di tralasciare un pericolo silenzioso ma concreto.

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