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Un piano Marshall dell’Europa per far crescere la democrazia in Tunisia

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Tunisi non è Teheran. Se nei giorni scorsi le proteste in Iran hanno acceso i fari dell’opinione pubblica sui limiti del regime dei pasdaran e sul rispetto dei diritti umani in quel Paese, i sommovimenti in Tunisia meritano una diversa lettura poiché le condizioni di quella che ora si può dire democrazia, con tanto di Costituzione, sono completamente diverse. La cosiddetta rivoluzione dei Gelsomini, avviata proprio sette anni fa, ha determinato l’apertura di un processo politico serio e di successo culminato appunto nel varo di sistema politico inclusivo e la formazione di un governo, quello attualmente in carica, che potremmo dire di “grande coalizione”. 

Certo, una Carta condivisa non basta se le condizioni economiche della popolazione non migliorano in modo altrettanto chiaro. Ed è sin troppo evidente il tentativo, di matrice jihadista, di infiltrare e guidare le proteste di questi giorni. In palio, se così si può dire, il controllo di uno Stato che ha una posizione geografica strategica e che oggi è impegnato – soprattutto al confine con la Libia – a contenere e contrastare la minaccia terroristica. Sono numerosi i foreign fighters di origine tunisina, un vero e proprio esercito che va controllato e combattuto sul piano della prevenzione. Per non parlare dei rischi connessi al cosiddetto traffico di vite umane ovvero al fenomeno migratori nel suo complesso.

L’Italia ha molto chiara la priorità politica della stabilità tunisina e non è un caso che il Parlamento sarà chiamato mercoledì ad esprimersi non solo sulla missione militare in Niger ma anche sulla presenza di sessanta militari nell’ambito della missione Nato volta a garantire la sicurezza nel Paese nostro dirimpettaio. Il nostro sforzo c’è tutto ed è apprezzabile. Rischia però di essere insufficiente. 

La Tunisia ha bisogno di un grande sostegno economico, di una sorta di Piano Marshall. Si tratta di un impegno che non può che avere dimensione europea. Lo sanno bene personalità come il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, e l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi: entrambi ne hanno scritto sulle colonne de Il Messaggero. Non possiamo permetterci che a poche bracciate dal confine meridionale dell’Unione si apra una stagione di crisi dopo il successo – l’unico forse – di questa primavera dei gelsomini. 

Una Europa che si sbraccia per gli ayatollah e non interviene con investimenti massicci in Tunisia sarebbe una istituzione politica che sacrificherebbe il proprio interesse comunitario sull’altare di un bizzarro politicamente corretto. La situazione del Mediterraneo invoca la nostra presenza. Roma, come dimostrato anche dal vertice Med7 ospitato da Gentiloni e dal supporto di Forza Italia e Berlusconi alle missioni militari, c’è. Ora deve scendere in campo Bruxelles, e non con le dichiarazioni ma con aiuti concreti.

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