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I 50 anni della diplomazia consapevole di Sant’Egidio

diplomazia

Compassione. È questa la parola che il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha scelto per indicare il carisma della Comunità di Sant’Egidio. Una scelta che, a dispetto di alcuni crudeli e ideologici critici, indica una profonda fede e una grande conoscenza della sofferenza. Come pochi altri avrebbero saputo fare al posto suo, Parolin infatti ha visto, riconosciuto e indicato la segregazione del lebbroso guarito da Gesù e la segregazione e solitudine degli esclusi di oggi, curati dalla Comunità: i Rom e in particolare i loro bambini, i senza fissa dimora, i richiedenti asilo che non hanno vie legali per raggiungere l’Europa, gli anziani abbandonati nelle periferie, cioè gli amici della Comunità di Sant’Egidio.

Questa compassione, indispensabile per costruire la società del vivere insieme, ha visto Andrea Riccardi e i suoi amici sin dai tempi della nascita della comunità impegnarsi nel dar vita da volontari alle scuole della pace, un modo concreto per recuperare, inserire i bambini e i più giovani dall’esclusione e restituirgli la cittadinanza: prima a Roma, poi in tante altre città del mondo. Costruire la società del vivere insieme senza alcuno stigma, senza nuovi lebbrosi, ha  significato anche impegnarsi anche nel dialogo religioso, quello che dopo la grande preghiera di Assisi voluta da Giovanni Paolo II è diventato lo spirito di Assisi, che la Comunità di Sant’Egidio si è impegnata a mantenere vivo con i suoi incontri annuali, i colloqui Oriente-Occidente e tanto altro, fino alla campagna contro la pena di morte nel mondo.

Il dialogo, la passione per il vivere insieme, la compassione, sono il motore che ha ispirato i tentativi diplomatici per aiutare un recupero collettivo di civiltà e una prospettiva nuova per popoli che sembravano condannati a non conoscere la pace. Quella che molti chiamano la “piccola Onu di Trastevere” ha favorito con un lavoro di anni la pace in Mozambico, successo di valore anche simbolico nella cura dell’Africa, alla quale da anni è stato proposto anche il progetto di cura dell’Aids sanando la ferita delle medicine negate a chi non ha i mezzi. La tentata mediazione in Algeria invece è stata la nobile e ostacolata intenzione che ha fatto capire la forza di cui godono i fautori dello scontro di civiltà. Ma gli ostacoli opposti dalla forza dei pregiudizi, dei muri e della  semplificazione, non hanno certo ridotto la forza di una Comunità che, come ha detto il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, è un raro esempio di sentinella capace di lanciare l’allarme offrendo anche soluzioni. Questa è la migliore fotografia di quanto accaduto da tempi lontani con il pranzo di Natale in basilica offerto ai poveri e in tempi recenti con l’ideazione, con il sostegno di altri soggetti, come la Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese, dei corridoi umanitari, che funzionano già dal Levante e dal Corno d’Africa, terre di orribili persecuzioni ed espulsioni di massa. Con gli incontri annuali per la pace il dialogo è diventato conoscenza, costruzione di interlocuzioni, di ponti e riprova, come ha sottolineato il Presidente della Parlamento europeo, Antonio Tajani,  che per dialogare davvero occorre essere forti , non deboli .

Tutto questo oggi significa un servizio evidente alla vera riforma di papa Francesco, la riforma dei cuori, la sola che può portare davvero a una Chiesa in uscita. Questa riforma, che non può essere calata dall’alto, richiede la capacità, sottolineata dal vicario del papa per la diocesi di roma, arcivescovo Angelo De Donatis, di toccare la miseria dei nostri fratelli, cioè tutte quelle povertà senza speranza, senza solidarietà. “Il Concilio Vaticano II – ha ricordato il presidente della Comunità Marco Impagliazzo- aveva comunicato un senso di “primavera” della fede. Lo si sente nel messaggio conciliare ai giovani: “vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo. Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate, di dar libero corso agli istinti della violenza e dell’odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!”

In quell’inizio dunque c’era soprattutto il Vangelo con il suo invito a vivere dalla parte dei poveri e dei soli e a credere che tutto è possibile a chi ha fede. Impagliazzo ha concluso affermando che in questi 50 anni la Comunità ha maturato una convinzione: “nessuno è escluso”.

Il gran numero di giovani, anziani, volontari, ospiti, che per ore hanno gremito le cinque navate della cattedrale di San Giovanni in Laterano, dicono che la non esclusione è un’idea che convince, e coinvolge. La festa musicale che i giovani di Sant’Egidio hanno voluto promuovere dopo la celebrazione sul piazzale dava proprio l’idea dell’incontro con la città, del desiderio di uscire, e di includere. Il modo di rapportarsi al prossimo di chi ha scelto di andare oltre i confini; urbani, geografici, politici, religiosi.


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