Il vantaggio guadagnato dall’Italia nella nuova frontiera di sperimentazione del 5G in Europa è oggi il tesoro più prezioso che può vantare il nostro Paese nella sfida digitale. Più del recuperato ritardo infrastrutturale in tema di banda ultralarga, che pure negli ultimi cinque anni ci ha portato a risalire la classifica interessando con un piano pubblico s dante le aree di 7.700 comuni considerate a fallimento di mercato. Più della ritrovata competizione nel mercato delle Tlc a seguito del piano del governo in grado di garantire connessioni ultraveloci per almeno l’85% della popolazione presupposto imprescindibile per la diffusione del 5G.
Abbiamo guadagnato tempo per sperimentare i servizi in 5G lungo quella grande autostrada moderna che oggi è rappresentata dalla fibra, da Internet ultraveloce. Tempo per coniugare l’offerta e la domanda di connettività con lo sviluppo e la sperimentazione di servizi digitali in grado di intercettare le esigenze dei territori, accrescere le competenze digitali e la capacità di imprese e Pubblica amministrazione di sfruttare le possibilità che si presentano. Tempo per non cancellare l’Italia dalle rotte attraverso cui passa l’ideazione, la progettazione e la produzione mondiale dei servizi 5G, ma anzi per renderla un crocevia.
Per far questo siamo partiti dalla consapevolezza che il 5G non fosse una semplice evoluzione del 4G, ma un cambio di paradigma; una vera e propria rivoluzione digitale molto simile a quella che ha permesso il passaggio dal telefono sso alla telefonia mobile. E così, quando l’unione europea ha chiesto a ogni Stato membro di avere entro il 2020 almeno una città in 5G, il governo italiano ha deciso di rilanciare candidando l’Italia a fare da apripista e scegliendo di far partire già dal 2017 la sperimentazione del 5G in cinque città: l’area metropolitana di Milano, Prato, L’Aquila, Bari e Matera.
Sostenere, tuttavia, che il fattore tempo sia di per sé un asset vincente equivale a perdere, consapevolmente o meno, l’intera partita che riguarda le sfide digitali del futuro, a cominciare da quella relativa alla formazione di nuove competenze digitali per le quali l’Italia ha un grande margine di miglioramento se guardiamo la classica dell’indice Desi (Digital economy and society index). Certo, avere un vantaggio competitivo aiuta, ma non è tutto, soprattutto quando si vuole che l’Italia non sia solo un mercato attraversato da tecnologie e progetti di altri, ma anche un hub che crea servizi digitali attraverso i tanti talenti e li esporta in tutto il mondo.
Non esistono scorciatoie e il fatto di essere partiti per primi ci fornisce un leggero vantaggio, non ci assicura la vittoria. Tanto più che la sperimentazione del 5G è più complessa di quella che potrebbe apparire: non si tratta solamente di mettere a punto l’infrastruttura, ma di incamminarsi lungo un percorso, a tratti anche accidentato, che coinvolge una pluralità di soggetti. E, come ben sappiamo, la capacità di fare squadra non è un carattere distintivo degli italiani.
Tuttavia, la scelta programmatica compiuta a marzo dello scorso anno quando il governo ha deciso di coinvolgere nei progetti per la sperimentazione del 5G non solo gli operatori di Tlc, ma anche diverse realtà produttive, amministrative e universitarie del Paese ha ricevuto una risposta impressionante e, per certi versi, tutt’altro che scontata. Non ci siamo rivolti solo agli operatori delle telecomunicazioni, ma abbiamo chiesto per la messa a punto dei progetti di sperimentazione l’aiuto fattivo e collaborativo delle tante imprese italiane, sia grandi, sia piccole, il sostegno della Pubblica amministrazione in qualità di facilitatrice e parte interessata dei progetti, l’esplicito coinvolgimento delle università consapevoli che solo uno stretto rapporto tra imprese e centri di ricerca possa consentire quella svolta innovativa che i servizi in 5G presuppongono.
Ritengo, e non da oggi, che sia rischioso delegare la trasformazione digitale italiana a chi all’estero ha altri modelli culturali e sociali, non a caso la messa in campo e la valorizzazione del piano nazionale Industria 4.0 costituiscono un’ottima base di partenza per tutte le aziende intenzionate a cogliere le opportunità legate alla quarta rivoluzione industriale. Per questo è stato importante che i principali operatori di Tlc siano diventati catalizzatori di progetti che hanno coinvolto eccellenze universitarie, amministrazioni locali e il tessuto imprenditoriale con l’obiettivo di puntare sull’identikit di una città digitale come volàno di crescita e sviluppo e come risposta alle esigenze dei cittadini.
Dalla guida da remoto a una piattaforma web per la telemedicina e l’auto-monitoraggio, dalle reti elettriche intelligenti alle smart industry, dal road monitoring alla realtà virtuale e aumentata applicata alla valorizzazione dei beni culturali sono solo alcuni dei servizi che si stanno sperimentando nelle cinque città.
Non nascondo affatto che siamo solo all’inizio, che aver messo a titolo gratuito a disposizione dei consorzi vincitori no al 2022 i diritti d’uso di 100 Mhz contigui rappresenti solo un punto di partenza per la transizione verso la tecnologia 5G.
Il principio, però, che oggi individuare servizi in 5G non sia solo una medaglia da mettere sul petto, ma un interesse condiviso, non è più in discussione. Il tempo per raccogliere i frutti c’è e, per una volta, non siamo noi a dover inseguire.