In Vaticano si augurano che non ci siano ritardi, ma con il presidente turco non si sa mai. A ogni modo, la tabella è fissata ed è rigida: alle 9.30 è prevista l’udienza riservata del Papa a Recep Tayyip Erdogan. Al termine, quest’ultimo si recherà dal segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin, con il quale – come di rito – approfondirà le questioni all’ordine del giorno. Seguiranno i consueti comunicati che renderanno noto il contenuto del doppio colloquio.
LA QUESTIONE GERUSALEMME
Come detto nella lunga intervista concessa al direttore della Stampa, Maurizio Molinari, a Erdogan preme soprattutto un tema: Gerusalamme. E non è certo un caso che l’udienza sia stata richiesta da Ankara al Papa poco dopo la decisione americana di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele. “Papa Francesco non ha perso tempo e ha diffuso a tutto il mondo cristiano un giusto messaggio. Perché Gerusalemme non è una questione solo dei musulmani. Entrambi siamo per la difesa dello status quo e abbiamo la volontà di tutelarlo”, ha detto al quotidiano di Torino. È chiara l’intenzione di Erdogan di portare il Pontefice a condividere in toto le sue posizioni, assicurandosi una sorta di alleanza in ottica anti americana e anti israeliana. Un’alleanza da gettare sul tavolo dei negoziati e delle azioni militari in corso nel caotico contesto del vicino e medio oriente. Erdogan sogna di brandire il Papa come alleato contro Trump, Israele, l’Europa senz’anima che ritarda l’ingresso del suo paese a Bruxelles e – magari – perfino contro gli sciiti iraniani che pure con il Vaticano vanno d’accordo da sempre. Un astuto piano dominato dalla realpolitik neo ottomana.
I RAPPORTI FREDDI TRA IL PAPA ED ERDOGAN
Si tratterebbe però di un enorme errore di valutazione. Innanzitutto perché Bergoglio ha dimostrato in questi cinque anni di pontificato di non farsi dettare l’agenda da nessuno, in secondo luogo perché è presumibile che il Papa stesso avrà molto da domandare all’interlocutore con il quale in passato non sono mancati gli screzi. Si pensi soprattutto all’annosa “questione armena” e all’incidente diplomatico scaturito quando Francesco in San Pietro citò il genocidio provocando l’ira di Ankara, che richiamò l’ambasciatore accreditato presso la Santa Sede. E, ancora, ai richiami del Papa sul rispetto dei diritti umani e delle minoranze, l’attivismo vaticano in Kurdistan, i conflitti tra le comunità cattoliche (e più in generale cristiane) e le autorità turche – cinquanta chiese espropriate a cavallo del fallito golpe del 2016, promesse su una maggior libertà religiosa per lo più disattesi.
I PRECEDENTI
E poi la diffidenza manifesta del potente capo del Diyanet, l’autorità per gli affari religiosi di Ankara, che tuonò contro i presunti silenzi papali in riferimento agli attentati contro luoghi di culto islamici nel mondo: “Non basta lavare i piedi di una giovane donna od organizzare una partita di calcio religiosa” per prevenire siffatti attentati: “Bisogna prevenire le azioni discriminatorie che hanno per bersaglio chi fa parte di una religione sacra come quella islamica”, disse Mehmet Gormez, che bollò le frasi del Papa sul genocidio armeno come “immorali”. Erdogan si limitò allora a dire che Francesco stava “distorcendo la storia”.
LA SOLUZIONE DEI DUE STATI
È probabile che alla fine il presidente turco tornerà in patria con l’assicurazione di avere l’appoggio della Santa Sede sulla questione-Gerusalemme, benché il Vaticano ribadirà la sua posizione terza, di attento osservatore degli sviluppi internazionali e fedele alla linea dei due stati. Sono passate solo poche settimane da quando Francesco aveva ricordato la posizione immutata della Santa Sede sul tema: “Preghiamo perché tra le parti prevalga la volontà di riprendere il dialogo e si possa finalmente giungere a una soluzione negoziata che consenta la pacifica coesistenza di due stati all’interno di confini concordati tra loro e internazionalmente riconosciuti”.