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Chi convince (e chi no) il piano Capricorn per il debito di Matteo Renzi

Tagliare il debito pubblico vendendo il mattone dello Stato. Una ricetta puntualmente tirata fuori dal cassetto per tentare trasmettere il messaggio che sì, il debito pubblico è un gran bel problema ma qualcosa si può fare. L’ultimo in ordine di arrivo è il leader del Pd, Matteo Renzi, che in questi giorni sta rispolverando una sua creatura, il piano Capricorn. Di che si tratta? Molto semplicemente, come ricordato da Renzi al Sole 24 Ore, cedere grosse porzioni di immobiliare pubblico (ma guai a toccare le quote in società strategiche, come Eni o Enel) attraverso un veicolo messo in piedi dalla Cassa Depositi e Prestiti. Totale, oltre 20 miliardi di risorse con cui tenere a bada, se così si può dire, a un mostro da 2.200 miliardi, euro più euro meno.

CHI DICE DI SI…

Il progetto renziano non è da buttare via. Almeno secondo Fedele De Novellis, economista del Centro Ref, interpellato da Formiche.net. La premessa è questa. Minore è la portata del progetto, maggiore è la possibilità di realizzarlo. Quello di Renzi vale su per giù 20 miliardi e prevede lo spostamento di asset dal Tesoro alla Cdp, con la possibilità per quest’ultima di valorizzarli. “È un punto di Pil, lo trovo un progetto ragionevole, rispetto alle sparate degli anni passati. Ai tempi di Tremonti c’erano ambizioni superiori. Per questo la cifra indicata da Renzi non è roba da sognatori”, spiega De Novellis. “Chiariamoci, non è una misura ragionevole, 20 miliardi su 2 mila è una sproporzione enorme. Ma se non altro è ragionevole e forse poco presuntuosa”.

E CHI DICE NO

Ma il progetto Capricorn miete anche molto scetticismo. Tra chi boccia a priori il piano Capricorn c’è Stefano Micossi, economista di lungo corso e direttore generale di Assonime, l’associazione delle spa. “È un vergognoso accrocchio, nient’altro. Queste sono operazioni contabili che non portano da nessuna parte. Non servono a nulla, perché privatizzare sul serio vuol dire un’altra cosa. Con simili escamotage non si va da nessuna parte, che cosa si vuol fare, l’ennessima super-Iri”? Micossi attacca alle fondamenta le operazioni patrimoniali, che prevedono cioè la vendita di patrimonio pubblico. “Sono palliativi, con un debito oltre i 2 mila miliardi, non bastrebbero mai, nemmeno se si vendessero le quote di Eni, Enel e tutte le altre partecipazioni. L’unica cosa da fare, per ridurre il debito è lavorare a un avanzo primario del 4%, come sostiene Visco. Lavorare sui conti pubblici, altro che dismissioni”.

IL PRECEDENTE DELLA INVIMIT

Eppure lo Stato il suo veicolo per la vendita di immobili pubblici, ce lo ha già. Invimit sgr. La società del Tesoro, a fine 2017 ha raggiunto gli 1,2 miliardi di masse gestite, con un portafoglio di oltre 180 immobili che comprende palazzi di grande valore storico e artistico, tra i più prestigiosi d’Italia, e un fatturato che segna un +50% rispetto all’anno precedente. Proprio sul finire dell’anno, Invimit ha concluso un’altra importante operazione con l’Inps, apportando una seconda tranche di immobili al fondo i-3 Inps per un valore complessivo di circa 100 milioni. Obbiettivo del Fondo è quello di gestire e valorizzare un portafoglio immobiliare di almeno 800 milioni di euro.

LE PROSSIME MOSSE DI INVIMIT

Come spiega a Formiche.net Elisabetta Spitz, amministratore delegato della sgr, “abbiamo lanciato a gennaio un fondo dedicato alla residenzialità per la terza età (Fondo i3 Silver), cercando di intercettare le nuove dinamiche socio demografiche del Paese. L’avvio dell’operatività del Fondo avverrà attraverso il conferimento di ulteriori asset di proprietà Inps. Di recente è stato anche avviato un Fondo destinato alla gestione degli alloggi in dotazione al ministero della Difesa. Il processo di gestione e valorizzazione dei portafogli pubblici apportati, consente anch’esso di contribuire con efficacia alla riduzione del debito pubblico”.

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