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Cosa è la Data economy? Un tesoro da 272 miliardi di euro. Lo spiega Andrea Stazi (Google)

Di Enzo Argante
Dati Cyber Privacy

Delizia di chi produce, gestisce o anche solo semplicemente li usa a fini sociali o commerciali; croce per la quantità smisurata di derivazioni che insinua e controindicazioni che propone fino all’estremo quis custodiet custodes. È certo che i dati sono al centro del tutto e, di conseguenza, estenuante oggetto di tentativi riusciti e non di regolamentazione e controllo. E siccome il passo dai dati alle fake news è molto breve, stiamo navigando anche nelle acque tempestose dell’immaginario collettivo con uno strumento fra i più potenti mai generati dalle mente umana. Per questo Google è l’interlocutore decisivo e insostituibile nel momento in cui si esplora il campo.

“Lo sviluppo economico e sociale è strettamente collegato all’utilizzo dei dati e alla loro trasformazione in informazioni, usate poi sia per prendere decisioni, sia per creare nuovi prodotti e servizi – afferma Andrea Stazi Public policy & government relations manager di Google Italia – le aziende di tutti i settori e di tutte le dimensioni, pubbliche e private, impiegano tali informazioni come risorsa fondamentale nella propria strategia di crescita”. Bene l’innovazione, ma altrettanto importante è la privacy, spiega Stazi: “Ciascun soggetto secondo il proprio ruolo istituzionale deve contribuire a creare cittadini responsabili nell’uso delle tecnologie digitali a tutela delle libertà di tutti”.

“Google crede nell’educazione civica per il cittadino digitale e nella natura libera della Rete – dice Stazi – due i pilastri del lavoro che svolge per contribuire all’educazione civica 2.0: informazione degli utenti su come Google raccoglie e utilizza i dati e offerta di strumenti tecnologici efficaci perché l’utente possa gestire i propri dati e il frutto della propria creatività, esercitando la cittadinanza online in modo consapevole, proteggendo privacy, sicurezza e proprietà intellettuale”. Responsabilità digitale non è uno slogan per tutelare i sistemi di informazione, impresa o servizio; deve diventare un paradigma nella cultura di massa, presa di coscienza che il dato è fonte di informazione primaria e dominante e va perciò considerato un bene prezioso e tutelato da tutti a tutti i livelli.

C’è un’altra colonna portante del paradigma responsabilità da considerare: quello della sicurezza dei dati. Pane per gli algoritmi di Google. “Tra i miglioramenti che abbiamo annunciato di recente in occasione del mese della sicurezza online c’è una nuova versione del controllo sicurezza, una guida fatta su misura per rendere sicuri i dati personali degli utenti che va a sostituire la classica e meno dinamica checklist – ha spiegato Stazi – esso mostrerà all’utente lo status della protezione del suo account e le questioni ancora da risolvere – un segno di spunta verde sta a indicare che  l’account è ben protetto, mentre un punto esclamativo giallo o rosso significa che c’è almeno un punto da risolvere in termini di sicurezza dell’account. Il nuovo controllo sicurezza continuerà ad aggiornarsi man mano che nasceranno nuovi pericoli – cosicché gli utenti potranno farvi affidamento per avere consigli sulla sicurezza e mantenere protetto il proprio account”. Controllo, contrasto, sicurezza. Armi a doppio taglio per la democrazia digitale; bisogna usare il freno, sì, ma anche dare gas se non si vuole correre il rischio di spegnere il motore.

“La regolazione dovrebbe proteggere dai pericoli che possono derivare da utilizzi abusivi dei dati. Viceversa, divieti tout court riguardo alla raccolta e al trasferimento dei dati rischierebbero di limitare l’innovazione. L’equilibrio è necessario per liberare le enormi potenzialità del data driven innovation – ha aggiunto Stazi – “non c’è dubbio sul fatto che l’analisi dei dati sia un fattore-chiave dell’economia di oggi e della crescita di domani. Non contano tanto i big data quanto il loro utilizzo intelligente: nuovi prodotti, servizi e processi oggi ottenibili grazie ai dati non sono big data, ma data driven innovation, ossia innovazioni rese possibili dai dati, senz’altro compatibili con la privacy e la concorrenza. È l’uso improprio dei dati che dovrebbe preoccuparci. Un approccio basato sulla libertà di accesso all’informazione, sulla sicurezza, sulla portabilità dei dati e sulla sensibilizzazione e responsabilizzazione degli utenti permette sia di lasciare spazio allo sviluppo dell’innovazione sia di tutelare la privacy e la libera concorrenza sul mercato a beneficio dei consumatori. Google sa bene che i dati appartengono solo all’utente, per questo ogni nostra azione è guidata da due principi fondamentali: trasparenza (l’utente deve sapere quali sono i dati che raccogliamo e utilizziamo) e controllo (è l’utente a gestire la sua privacy).

Proteggere la privacy degli utenti – ha concluso Stazi – è una sorta di responsabilità condivisa: se da un lato il compito delle imprese consiste nel comunicare in maniera trasparente cosa fanno e fornire agli utenti strumenti per controllare i loro dati, dall’altro il compito degli utenti è utilizzare queste informazioni e questi strumenti facendoli coincidere con il proprio concetto soggettivo di privacy. Sistemi di sicurezza avanzati ed efficaci, gestione dei dati in capo agli utenti e trasparenza sui modi in cui i dati possono essere utilizzati permettono a Google di essere un operatore responsabile nella gestione delle informazioni degli utenti mentre utilizza questi dati per fornire loro prodotti e servizi migliori”. Il genere umano si legge e si controlla dai dati. Tanto quanto (più?) del Dna… La più grande e inquietante sfida di tutti i tempi.


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