L’aria che tira tra Unione europea e Gran Bretagna si fa sempre più insopportabile. Gli addetti ai lavori manifestano insofferenza, e spazientiti rilanciano reazioni che sanno di minacce.
L’ultimo in ordine temporale ad aver perso la pazienza è il ministro britannico per la Brexit, David Davis. Che, in queste ore, sta accusando l’Unione europea di essere a dir poco “scortese”: il suo intervento, comunque, è un segnale di preoccupazione del governo inglese rispetto a quei i leader europei che fanno resistenza per concordare un accordo di transizione entro marzo.
Ormai non passa settimana senza che venga pubblicato un fantomatico dossier che denunci il catastrofico stato delle cose per la Gran Bretagna e, soprattutto, una mancanza di progressi nei negoziati Brexit. Da Bruxelles, infatti, con il consueto atteggiamento che profuma di vendetta arrivano senza soluzione di continuità minacce di vario genere. Al centro dell’attenzione, adesso, è un documento di cinque pagine, pubblicato dall’Ue mercoledì, in cui si passa dal boicottaggio di voli alla sospensione dell’accesso al mercato unico, fino all’imposizione di nuove tariffe commerciali durante il periodo di transizione.
Il documento ha fatto perdere la pazienza un po’ a tutti e David Davis non ha esitato a etichettarlo come “non legale”. A sfogliare le cinque pagine del documento si legge che, durante la fantomatica fase di stallo per l’Inghilterra, “il parlamento del Regno Unito non sarà considerato un parlamento nazionale” e che la Bank of England “non verrà considerata come un banca centrale nazionale”. E se da un lato, per certi versi, questo non fa che ribadire la posizione secondo cui il Regno Unito non sarà più considerato un membro dell’Unione Europea a tutti gli effetti, dall’altro rischia di incalzare tutti quei parlamentari Brexiteer dal cui sostegno dipende l’autorità politica di Theresa May.
David Davis, allora, ci ha tenuto a etichettare il documento come “non in buona fede” e “inaccettabile politicamente”, ma soprattutto ha voluto sottolineare che gli incontri delle ultime settimane in cui i ministri hanno discusso la posizione del Regno Unito sulle future relazione con l’Ue, sono stati “molto costruttivi” e che sono state “molte le cose risolte”. Insomma, nessuna crisi in atto. Ad ogni modo quest’oggi il coordinatore dei negoziati per la Brexit nel Regno Unito, Oliver Robbins, sarà a Bruxelles per concludere il ciclo di colloqui e fornire un “aggiornamento” sulla posizione del Regno Unito per la relazione futura.
Ma il vero fronte di scontro tra Bruxelles e Londra è altrove. E David Davis lo sa bene. Il malumore dipende anzitutto dalla resistenza dei burocrati dell’Unione rispetto all’accesso, per gli inglesi, al mercato unico per quel che riguarda soprattutto i servizi finanziari. Sebbene, infatti, Londra goda di ottima salute e sia in piena espansione e, comunque, contribuisca all’economia dell’Ue con miliardi di sterline, da Bruxelles stanno facendo di tutto per limitare il suo accesso al mercato unico tracciando un modello di “pay per access” per il settore dei servizi finanziari. Sostanzialmente la proposta dell’Ue è: solo se il contribuente britannico continuerà a versare denaro nel bilancio dell’Ue allora verrà consentito l’accesso al mercato unico. Cosa che Theresa May ha, però, escluso categoricamente.
Eppure non è tutto qui. Quello che la stampa internazionale ha esitato a riferire, e ancor di più quella italiana, è che da nelle ultime settimane l’Unione europea ha minacciato sanzioni contro il Regno Unito per distogliere il Paese dall’idea di un possibile taglio delle tasse e di uno sfoltimento delle regole dopo la Brexit. Cosa che farebbe benissimo a Londra e che terrorizza Bruxelles. I burocrati temono infatti che sia l’economia della stessa Ue risentirne. Il taglio delle tasse e l’introduzione di nuovi investimenti rischia, infatti, di spazzare via Bruxelles dalla competizione. Secondo quanto rivelato dal Financial Times il blocco sta pianificando di introdurre “clausole di non regressione”, “sanzioni”, “liste nere delle tasse” e ancora sanzioni nei confronti di società sovvenzionate dallo Stato. L’Unione intende allora giocare duro sperando, così, di riprendersi il pieno controllo sull’economia.
La cosa non è di certo sfuggita ai tre moschettieri della Brexit – Jacob Rees Mogg, David Davis e Boris Johnson – che sono pronti a difendere il loro modello economico e a tagliare tasse e burocrazia per incrementare gli investimenti aziendali, soprattutto se l’Ue insisterà su questa falsa riga.
Intanto l’ultimo astro nascente dei tory, Bim Afolami, ci ha tenuto a sottolineare come il Regno Unito deve essere pronto a rompere drasticamente con l’Ue, e soprattutto a tagliare le tasse, anche perché quello di giocare duro è l’unico modo che hanno a Bruxelles per tentare di mettere nell’angolo il Regno Unito.