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Il dossier che scotta e quel canale (fu) segreto della Cia con i russi

Un canale di comunicazione non ufficiale tra le agenzie di intelligence di Stati Uniti e Russia aperto nel tentativo disperato di recuperare informazioni e documenti sottratti alla NSA dal gruppo hacker avvolto dal mistero che porta il nome di Shadow Brokers: le verità che lentamente sembrano affiorare rispetto ad una storia che sa di inverosilime potrebbero presto tramutarsi in un vero e proprio scandolo internazionale e pesare sul clima già teso che in questi giorni si respira sull’asse Washington Mosca.

Secondo le indiscrezioni rilanciate dal sito The Intercept nel corso del 2017 si sarebbe aperta una vera e propria trattativa con tanto di offerta e controfferta economica per centinaia di migliaia di dollari al fine di recuperare documenti sensibili appartenenti alla NSA e trafugati da Shadow Brokers nel corso di una operazione di esfiltrazione avvenuta nell’estate del 2016, raccontata solo pochi mesi fa da Formiche.net.

La vicenda avrebbe avuto inizio nei primi mesi dell’anno scorso in Germania, quando a seguito di contatti informali tra americani e operativi dei servizi russi si sarebbe palesata la possibilità di uno scambio di informazioni e sul tavolo gli agenti di Mosca avrebbero piazzato documenti scottanti, sottratti alla National Security Agency e riguardanti operazioni del TAO (Tailored Access Operations), unità tra le più aggressive e silenti dell’agenzia.

Dopo mesi di trattative e tentativi di trovare un piano di mediazione gli americani avrebbero ceduto alla tentazione di recuperare i preziosi documenti nelle mani del nemico e avviato la consegna in tranche di quanto pattuito (le cifre ancora non sono conosciute in dettaglio). Gli scambi sarebbero avventui in territorio neutrale, come di norma avviene per attività di questo tipo, e più precisamente in luoghi come stanze di albergo, per evitare di attirare l’attenzione.

Oggi la storia emerge in tutta la sua esplosività poichè, paradossalmente, finirebbe con l’intrecciarsi con una vicenda ugualmente delicata e scottante. Le gole profonde che hanno fatto trapelare la notizia dell’operazione sui media insistono con il sottolineare che tra la documentazione oggetto della trattativa sarebbero finiti anche fascicoli relativi alle possibili interazioni tra i servizi russi e la campagna elettorale di Donald Trump. Il filone sarebbe differente da quello della “pista britannica”, che porta il nome di Christopher Steele, ex spia al servizio di sua maestà che avrebbe contribuito ad avviare la raccolta informativa poi sfociata nel Russiagate.

La circostanza complica enormemente il quadro già delicato. E’ evidente che qualora si ravvisasse un “tentativo di intelligenza con il nemico” al fine di raccogliere informazioni su uno dei candidati alla presidenza – poi divenuto presidente – nella comunità intelligence americana potrebbe ballare più di una poltrona, in un momento già delicato a per nulla tranquillo.

Proprio in queste ore continuano ad affiorare dettagli su dettagli. Sembra quasi una gara quella dei media ad aggiungere particolari rispetto ad un quadro già assai allarmante. Il canale segreto tra spie russe ed americane, se effettivamente confermato, potrebbe portare alla luce nuovi scheletri nell’armadio delle passate presidenziali.

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