L’Italia è “l’anello più debole”. A dirlo, senza difetto di chiarezza, è stato il ministro degli Esteri cipriota, Ioannis Kasoulides, che parlando delle perforazioni nell’area orientale dell’isola ha spiegato che queste potrebbero essere abbandonate se le navi turche continueranno a ostruirle: “La forza delle armi prevale sempre”. E se compagnie come l’americana Exxon Mobile e la francese Total continuano a lavorare pressoché indisturbate, si capisce il riferimento alla debolezza italiana che spiegherebbe perchè Erdogan ha preso di mira proprio la piattaforma dell’Eni.
La complessità della situazione aveva già spinto ieri l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, a pronunciare parole precise e moderate. Se da un lato aveva dichiarato che l’attività della società italiana avrebbe potuto essere sospesa finché la Turchia non si fosse convinta a ritirare le sue navi militari, dall’altro aveva voluto ribadire che non rinuncerà al business cipriota, ricordando che Eni è abituata gestire a questo genere di situazioni.
Si ricorderà che la rotta della “Saipem 12000” (che si stava spostando da una parte all’altra dell’isola sotto l’autorizzazione di Nicosia) era stata interrotta dai battelli di Ankara due settimane fa, formalmente perché stava entrando in acque in cui erano in atto “operazioni militari” turche. Rimasta ancorata a 30 miglia nautiche dal punto di destinazione, la Turchia ne aveva confermato il fermo fino al 10 marzo. Nonostante l’intenso lavorio tra governi sembra – almeno per il momento – che l’Italia sia nella condizione di dover fare un passo a lato.
Il governo turco è sempre più esplicito nel minacciare che non permetterà a Cipro di effettuare una ricerca di gas “unilaterale” nella fascia orientale dell’isola del Mediterraneo, a meno che i turco-ciprioti separatisti non ne raccolgono benefici. È stato il ministro turco dell’Energia, Berak Albayrak, a dichiarare che la Turchia avrebbe comunque bloccato qualsiasi ricerca di idrocarburi in mare aperto fino a quando non ci sarà un accordo per riunificare etnicamente la divisa Cipro – dunque, manovre militari, ossia scuse formali, a parte.
La Turchia asserisce che la perforazione ignora i diritti dei turco-ciprioti separatisti, che dovrebbero godere delle stesse possibilità di sfruttare le risorse naturali dell’isola; quando Ankara parla di unilateralità, si riferisce agli accordi che il governo regolare di Nicosia ha preso e prende con diverse società straniere per l’estrazione delle riserve di gas (tra questi l’Eni, fin dal 2013, è stata una delle meglio piazzate, con sei licenze esclusive concesse dai ciprioti, sebbene nella vicenda sembra essere quella più danneggiata).
Il governo di Nicosia – che gode del riconoscimento dell’UE, mentre la Repubblica nordista è legittimata solo dalla Turchia – sostiene che la politica energetica è parte delle proprie scelte sovrane, e non deve essere soggetto a interferenze turche. Però, al di là degli annunci formali, Formiche.net ha contatto un alto esponente della Farnesina, che però ha declinato ogni commento; è una scelta comprensibile visto la delicatezza della situazione (pensare per esempio, che pochi giorni prima dello stop marino alla “Saipem 12000”, il presidente turco Recep Tayyap Erdogan si era recato in Italia e in Vaticano in visita ufficiale; dunque, sulla vicenda, pesano le relazioni tra due importanti paesi del Mediterraneo, peraltro alleati Nato).
L’Associated Press sottolinea che è comunque difficile stabilire colloqui di pace (per la riunificazione di Cipro) se la Turchia continua a interferire negli affari interni dell’isola, dando spinta di background ai nordisti per perpetrare i propri interessi – e dunque: quando potrà la nave Eni tornare a lavorare su quell’importante reservoir gasifero? I turchi in effetti hanno da tempo buttato l’occhio sulle dinamiche energetiche del Mediterraneo orientale, e vogliono costruirsi un ruolo centrale da cui trattare con gli altri attori in campo, l’UE, Israele, l’Egitto. Ultimamente è stato siglato un accordo tra Tel Aviv e il Cairo per l’esportazione di gas naturale, che, come su queste colonne ha fatto notare l’analista dell’Ispi Giuseppe Dentice, è uno schiaffo ad Ankara, tagliata fuori da Israele. E dunque un presupposto per aumentare (incattivire) le tensioni in un quadrante che la politica italiana ha difficoltà a inquadrare (testimonianza: il ministro cipriota parla di Roma come “anello debole” tra la concatenazione di interessi che si muovono nell’area) sebbene sia una priorità strategica nazionale, e che sarà di certo uno dei temi di politica estera che si troverà ad affrontare il governo che uscirà dalle urne il 4 marzo.