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Golfo Persico connection, ecco come i Paesi arabi dicono Italia

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L’Arabia Saudita chiama l’Italia. La Cassa Depositi e Prestiti per la precisione. Si è infatti chiuso il roadshow della Sace, il polo dell’export controllato dalla Cassa, che ha portato le imprese italiane a mettere le mani su potenziali progetti per 1,6 miliardi. Una conferma dell’appeal che i Paesi del Golfo esercitano sull’Italia ma anche dell’interesse degli stessi Stati arabi per la manifattura e manodopera made in Italy.

OBIETTIVO 1,6 MILIARDI

Il bilancio della missione è stato fatto. Il ceo di Sace, Alessandro Decio: “Forti dell’esperienza positiva negli Emirati, guardiamo ora con crescente interesse all’Arabia Saudita. Un Paese che si sta aprendo ai mercati internazionali per mobilitare le risorse finanziarie necessarie alla realizzazione del suo imponente piano di investimenti al 2030. Finanziamenti a medio-lungo termine che Sace è in grado di garantire, facilitando le imprese italiane nell’accesso al mercato saudita”. Di qui, la cifra sulle opere in loco che potrebbero vedere il coinvolgimento diretto di aziende italiane. “Stiamo già valutando nuovi progetti per 1,6 miliardi di dollari non solo nell’oil & gas, ma anche nelle infrastrutture, nell’energia e nel turismo”.

IL GOLFO DICE ITALIA

Ma è un po’ tutto il Golfo ad avere bisogno di imprese e prodotti italiani. Lo dicono i numeri. Dopo gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita è il secondo mercato di destinazione per l’export italiano nel Golfo, con 4 miliardi di euro di beni venduti, concentrati principalmente nel settore dell’industria meccanica (34%), estrattiva (14%) e nei metalli (7%) e ulteriori prospettive di crescita a tassi in media del 4,2% fino al 2020.  Più in generale la regione del Medio Oriente e de Nord Africa si conferma un’area prioritaria, dove il portafoglio di operazioni concluse dalla Sace è cresciuto significativamente, passando da 4,4 a 12 miliardi di euro. Solo nel 2017, la controllata Cdp ha approvato operazioni a sostegno di export e investimenti italiani nella regione per 6,9 miliardi di euro, il triplo rispetto ai 2,3 miliardi di euro del 2016.

IL CASO SALINI

Le maggiori opportunità comunque si avranno nelle infrastrutture grazie alla spinta proveniente dal programma Saudi Vision 2030 che punta a traghettare il Paese oltre l’economia petrolifera. Un esempio è Salini che proprio poche settimane fa, dopo essere entrata negli Emirati e in Qatar, oltre che in Arabia Saudita, ha fatto il suo ingresso in Oman. Attraverso Fisia Italimpianti, controllata del gruppo, Salini si è aggiudicata un contratto del valore di 100 milioni di dollari per un impianto di dissalazione da realizzare in joint venture, partecipata al 51% da Fisia, con la società Abengoa per il cliente Acwa Power (Arabia Saudita), insieme agli altri due colossi, Veolia e Dhofar International. Per la controllata Salini si tratta del secondo colpo nel Golfo, visto ad aprile Fisia ha finto una commessa da 255 milioni di dollari assegnatale ad aprile, per la realizzazione di un altro impianto di dissalazione, in Arabia Saudita.

 



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