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L’Italia e le sue imprese non abbiano paura del voto e dei casi Embraco. Parla Marco Fortis (Edison)

Sì, le regole europee sugli aiuti di Stato devono essere corrette. Ma guai a fare del caso Embraco l’alibi per gridare allo scandalo e piangersi addosso. L’Italia rischierà pure di perdersi qualche multinazionale, ma tutto sommato è un Paese in ripresa, con delle prospettive. Che vanno ben oltre le incognite legate al voto del 4 marzo. Non si può certo dire che pecchi di scarso ottimismo Marco Fortis, docente di economia industriale di lungo corso e oggi a capo della Direzione Studi Economici di Edison, la branch energetica italiana del gruppo francese Edf. Una panoramica che parte dal dramma della controllata Whirlpool e arriva fino alle proposte di Confindustria, partorite nel corso delle assise veronesi, appena concluse.

Fortis, partiamo dal caso Embraco. Un nome che evoca desertificazione industriale… è così?

Andiamoci piano con le parole. È vero, con Embraco c’è un problema, ma come ce ne sono stati con altre aziende in passato e non solo in Italia. Perché a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, c’è un settore, il pharma, tonico e dinamico, in piena esplosione qui in Italia, con fior di investimenti. Le multinazionali hanno sempre scelto a tavolino dove andare. Non c’è da allarmarsi più di tanto.

Però un problema a livello europeo c’è. Perché se uno Stato membro può offrire condizioni più vantaggiose dell’altro, qualcosa non funziona in un sistema comunitario…

Certamente una distorsione c’è. Ci sono regole da rivedere per non rendere il mercato più asimmetrico di quello che è. In questo senso il ministro Calenda fa bene a pretendere delle modifiche a livello comunitario. Pensi solo al fatto che il Pil dell’Irlanda è cresciuto del 25% dopo lo spostamento di una grande multinazionale (Apple, ndr). Qualcosa indubbiamente va fatto, le faccio un esempio…

Prego…

Tempo fa il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha ripreso il tema della manifattura: rimetterla al centro del programma europeo. Giusto, ma per farlo bisogna giocare alla pari, con regole uguali per tutti. Sennò ci saranno imprese che puntualmente vanno in questo o quel Paese e per ragioni che di industriale hanno ben poco. E sarà tutto vano.

Cambiamo argomento. Hanno ragione le imprese a essere preoccupate per le incognite relative al voto del 4 marzo? 

Partiamo da un presupposto, un po’ di incertezza c’è sempre. Ma non vedo grandi problemi e le dico perché. Questo è un Paese che ha finalmente preso un buon abbrivio di crescita, che non può essere vanificato. Le aziende che sono in espansione sono tante, il piano Industria 4.0 si sta propagando, i consumi si sono consolidati. Insomma, i fondamentali sono solidi e buoni.

Lei ha toccato il tema Industria 4.0, manifesto ispirato dallo stesso Calenda. Che ne pensa?

Una grande riforma, una scelta vincente. Dà per la prima volta alle imprese la competitività che mancava. Certo, i risultati in termini di maggiore produttività e competitività non si vedranno subito, ci vorrà un po’. Ma arriveranno. Per intanto c’è già il boom della produzione industriale con una crescita degli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto in Italia del 25% in tre anni e mezzo, il doppio che in Germania.

Fortis, ha seguito le assise di Confindustria?

Sì…

Non c’erano politici e la cosa è stata interpretata da qualcuno come l’ennesima frattura col mondo industriale… lei che ne pensa?

Non sono d’accordo. Mai come in questi anni c’è stata attenzione da parte del mondo politico alle esigenze delle imprese. Delle semplificazioni sono state fatte, diverse tasse sono state tolte o ridotte, molti incentivi fiscali sono stati dati, per investire ed assumere. Direi che invece c’è stata una grande attenzione dei governi alle imprese, forse come mai negli ultimi decenni.

Tra dieci giorni si vota. Tre cose da fare, o non fare.

Punto primo, non bisogna smontare le riforme fin qui fatte. Sarebbe un disastro. Il Jobs Act è stata una svolta e va completato. Secondo, non pensare di basare l’espansione su deficit eccessivi. La flessibilità è la strada giusta, magari estesa di più anche agli investimenti. Insomma, serve equilibrio tra flessibilità, crescita e rigore. Guai a scassare i conti pubblici. L’Europa ci può dare altri margini, va benissimo, ma l’impianto deve rimanere solido.

E terzo?

Valorizzare una volta per tutte il patrimonio pubblico. Mettiamoci bene in testa una cosa, prima di vendere bisogna capire quanto rende un fabbricato. E per capirlo ho bisogno di incassare un affitto. Se ho dieci caserme che mi rendono zero, come posso pensare di metterle sul mercato? Sbaglio?

 

 

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