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Brexit e un luogo comune chiamato Europa

Brexit

Smontare l’Europa può essere una buona idea. Oppure no. Dubbio più che lecito in tempi di Brexit e di appelli di questo o quel partito al rompete le righe, quasi a voler trasformare ogni competizione elettorale in una sorta di referendum sull’Europa e l’euro. Ma forse, a conti fatti, l’Unione europea conviene tenerla in piedi, se non altro per non buttare al vento 60 e passa anni di integrazione comunitaria. Il problema è capire come.

TRA BREXIT ED EUXIT

Ci hanno provato ieri pomeriggio i relatori convenuti presso la sede dell’Antitrust, a Roma, per partecipare al dibattito Brexit, una vittoria di Pirro per l’Europa?, in occasione dell’uscita del volume Euxit, emergency exit for Europe, scritto dal giornalista e direttore delle Relazioni esterne dell’Authority, Roberto Sommella e ora tradotto in inglese. Tra gli ospiti, il corrispondente del Frankfurter allgemeine, Tobias Piller, l’ambasciatore inglese in Italia, Jill Morris e il membro del collegio Antitrust, Michele Ainis.

TRE LUOGHI COMUNI SULL’UE (DA SMONTARE)

Il ragionamento di Sommella parte da un assunto. L’Ue non è quello che sembra, o meglio che si dice. Bisogna smontare i luoghi comuni che offuscano il sogno europeo: ovvero, migranti, Paesi che guadagnano con le politiche della Bce (l’Italia?) e di quelli che vorrebbero ritirarsi dopo l’adesione comunitaria, come successo con la Gran Bretagna. Ebbene, nulla di tutto questo è così davvero drammatico. Sul primo fronte, per esempio, secondo i rapporti delle Nazioni Unite, raccolti nei World Population Prospects, i flussi migratori in Europa dal 2000 al 2010 sono stati di 1,2 milioni di persone per anno. Il che fa lo 0,2% su 500 milioni di abitanti. Non proprio un apocalisse.

IL MITO DELLA BCE

E c’è un’altro mito da sfatare, quello che vuole i bazooka monetari della Bce (il cosiddetto Qauantitative easing) avvantaggiare più certi Paesi, come l’Italia, rispetto ad altri. Anche qui, il volume racconta una realtà diversa. Confrontando le variabili fotografate nel primo mese del 2015 (anno del varo del Qe) con le ultime disponibili, sempre dello stesso anno, si dimostra che è invece la Germania ad aver goduto di più dalla politica monetaria di Francoforte. Numeri alla mano il Pil tedesco è infatti aumentato dal +1,4% di inizio anno al +1,7% (dato di fine settembre), il debito pubblico è diminuito dal 74,3% del Pil al 71,9% (fine 2014 su fine 2015). Insomma, se l’Europa può essere migliore di quanto è, che senso ha abbandonare il progetto europeo, come fatto dal Regno Unito?

IL COSTO DELLA BREXIT

Eppure gli inglesi hanno scelto, la Gran Bretagna sta abbandonando l’Europa dopo 44 anni di permanenza. E allora un problema c’è e forse è giusto chiedersi se valga la pena uscire dall’Ue oppure no. Per Alessandro Dragonetti, co-Managing Partner e Head of Tax di Bernoni Grant Thornton, i rischi di un’uscita dall’Europa sono alti, altissimi. “Abbandonare Bruxelles significa andare incontro a uno sconvolgimento fiscale, in termini di compliance, di transazioni, tra Londra e l’Unione europea. Il governo inglese adesso si trova proprio questo di problema, rendere il meno svantaggiose possibili le transazioni tra imprese inglesi ed europee. E le aziende di solito non aspettano le decisioni della politica”.

COSA DICONO I TEDESCHI

E la Germania? Che cosa ne pensa la locomotiva tedesca della Brexit e del pericolo di disintegrazione europea? “Quando si parla di nuova Europa ho qualche dubbio”, ha spiegato Piller. Che si è detto particolarmente perplesso sulla possibilità di assicurare la stabilità dell’Europa quando ci sono Paesi che poi in casa loro non fanno i cosiddetti compiti a casa. “Ci sono politici italiani che spesso danno la colpa all’euro per i propri guai”. A proposito di luoghi comuni.


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