Papa Francesco incontra gli alunni del collegio maronita e tra le altre cose dice alcune parole che è bene evidenziare subito: “Oggi la fraternità e l’integrazione rappresentano sfide urgenti, non più rimandabili, e a questo proposito il Libano non ha solo qualcosa da dire, ma una speciale vocazione di pace da compiere nel mondo. Tra i figli della vostra terra, voi, in modo particolare, sarete chiamati a servire tutti come fratelli, anzitutto sentendovi di tutti fratelli”.
C’è qui un’indicazione di valore universale, il valore dell’integrazione e della fraternità, e una libanese: la vocazione del Libano. Questa riferimento alla vocazione del Libano, antica terra della convivialità del Levante, è particolarmente significativo oggi che quella convivialità scossa non solo dagli avvenimenti internazionali, ma anche dalle scelte libanesi, condivise da molti maroniti che sostengono il generale Aoun divenuto Presidente della Repubblica nel segno di un patto con Hezbollah che sta a indicare quella alleate tra minoranze religiose patrocinata dai Pasdaran iraniani.
Questa visione che potrebbe assorbire o addirittura diluire il Libano in una grande Siria del fondamentalismo e fanatismo promosso dai Pasdaran viene evidentemente respinta da papa Francesco che torna alla lezione di Giovanni Paolo II sul “Libano messaggio di convivialità”, cioè terra del vivere insieme. “Servire tutti come fratelli” non può andare d’accordo con politiche di discriminazione confessionale, di contrapposizione confessionale, di egemonia antidemocratica.
Dire questo agli studenti del collegio maronita ha dunque avuto un valore tanto rilevante da far ricordare ai giovani libanesi il significato e il senso dello storico viaggio di Giovanni Paolo II e dello stesso sinodo per il Libano, quello in cui si raccomandò alle Chiese del Libano, che aveva visto i loro figli “venire uccisi, uccidere e uccidersi tra di loro”, di svolgere quel ruolo di facilitatrici dell’ inserimento dei cristiani nella cultura araba che solo avrebbe consentito la costruzione di una comune cittadinanza.
Nella scelta che oggi sottostà al progetto neo-imperiale dell’alleanza delle minoranza, e cioè un accordo antidemocratico che leghi i nuovi poteri a una fedeltà imperiale contro i popoli, contro la democrazia, contro la costruzione di una società del vivere insieme, l’indicazione di papa Francesco è chiarissima e preziosa. Non a caso il papa ha detto anche: “Il popolo che vi sarà affidato, disorientato dall’instabilità che purtroppo continua a ripercuotersi sul Medio Oriente, cercherà in voi dei Pastori che lo consolino: Pastori con la parola di Gesù sulle labbra, con le mani pronte ad asciugare le lacrime e ad accarezzare volti sofferenti; Pastori dimentichi di sé e dei propri interessi; Pastori che non si scoraggiano mai, perché traggono ogni giorno dal Pane Eucaristico la dolce forza dell’amore che sazia; Pastori che non hanno paura di “farsi mangiare” dalla gente, come pani buoni offerti ai fratelli.”
È dunque la visione conciliare del cattolicesimo, così propriamente e profondamente espressa dall’antica lettera “a Diogneto” che echeggia nelle parole del papa, una visione che scelte come quelle tentate oggi contraddice in totalità.