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La mobilità sostenibile si pratica e non si evoca

Di Ludovico Fois
mobilità

In tempi di fake news, si sa, l’unico, parziale antidoto, sarebbe una corretta informazione. Esercizio talvolta vano, perché una notizia verosimile, seppur smentita e smontata nel suo fondamento, può finire per attrarci se è in linea con la nostra visione del mondo, se coccola i nostri pre-giudizi, le nostre convinzioni profonde e finisce insomma per “suonarci bene”. È l’era della post verità, bellezza.

I temi legati alla nuova rivoluzione della mobilità, si prestano al caso. Proposte, direzioni e tempistiche sono molteplici e alcune in contrasto evidente, un vero e proprio overflow informativo, che frastorna e confonde l’utente medio. Questo in parte è fisiologico, perché la comunicazione sul tema è asimmetrica, ossia generata in gran parte dai player industriali del settore che hanno, legittimamente, l’interesse a disegnare uno scenario futuro a favore dei rispettivi modelli di business e al proprio vantaggio competitivo.

La verità, viceversa, è che nessuno può intestarsi la predizione esatta sul futuro. Troppe le variabili interconnesse e tutte suscettibili di un rapido tasso di obsolescenza.  Motori, batterie, infrastrutture di rete, centrali a combustibili fossili e fonti sostenibili come anche modalità per la condivisione delle auto, automazione della guida, ecc. sono in continua trasformazione.

Eppure, è possibile provare a fissare qualche punto cardinale, almeno sul presente, facendo chiarezza su alcune suggestioni diffuse e superando quei pregiudizi che non reggono alla prova dei fatti.

L’occasione ce la fornisce il recente Rapporto Mal’Aria 2018 di Legambiente, che ha evidenziato come le principali città italiane siano tra le più critiche, a livello europeo, per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico. I valori peggiori, relativi alla concentrazione media annuale di polveri sottili, (PM10) si registrano a Torino, seguita da Milano e Napoli.

Un rapporto che ha riacceso il dibattito fra apocalittici e integrati. Difatti, fa puntualmente capolino la suggestione di uno switch off immediato e (magari) coattivo di tutte le auto endotermiche, secondo alcuni la madre di tutte le soluzioni. Ma davvero sarebbe possibile, e sostenibile, realizzare questo proposito in tempi rapidi e con la tecnologia attuale?

Facciamo un semplice esercizio di fact checking per capire meglio, senza preconcetti.

Tutte le numerose ricerche scientifiche ufficiali nel merito (Ispra, RSE, Arpa regionali, ecc.) concordano su quali siano le fonti dei gas serra, delle polveri sottili, degli inquinanti e, soprattutto, sulla quota di contributo di ognuna. Ci confermano che i veicoli da trasporto, privati e pubblici, di persone o di merci, sono certamente una concausa della scarsa qualità dell’aria, ma con un’incidenza sempre più bassa e comunque assai minoritaria.

Il comparto del “trasporto su auto” privato, ad esempio, contribuisce solo per il 14% delle concentrazioni di PM2.5 medie annue a Milano. Difatti, la gran parte dei PM10 e PM2.5 (come della CO2) deriva dal riscaldamento e dalla produzione di energia.

Inoltre, il comparto trasporti è l’unico che negli ultimi vent’anni abbia ridotto significativamente il suo contributo all’inquinamento e ai gas serra, mentre gli altri comparti lo hanno persino aumentato. Ma non solo. La parte derivante dal trasporto privato è mediamente inferiore al 50% del complessivo emesso dai trasporti (camion, furgoni e bus ne sono la componente maggioritaria).

Ad esempio, i famigerati blocchi del traffico generano un blando effetto solo perché di domenica, quando i TIR non circolano, i Bus sono ridotti e le fabbriche chiuse, non perché circolano meno auto. Effetto anche minore, al limite del non registrabile, lo ottiene il blocco infrasettimanale delle auto meno recenti.

Chiarito questo, come comunque migliorare ? Come anticipato, c’è chi dice che la soluzione sarebbe una immediata sostituzione in blocco del parco auto a combustione, con vetture a motore elettrico.

Ora, siamo chiari una volta per tutte.

Che la soluzione sia utilizzare nelle nostre città veicoli a impatto ridotto o, meglio, prossimo allo zero è fuor di dubbio. La strada è questa e non ci sono alternative. Ma il punto è come ci si arriva. E soprattutto,  davvero possibile farlo ora,  “tutti e subito”? E sarebbe davvero sostenibile? La risposta definitiva non esiste e forse non potrebbe nemmeno esistere, in quanto stiamo parlando di una mera suggestione.

Finché una parte dei combustibili che alimentano le nostre centrali elettriche saranno fossili, sostituire le auto nei centri urbani significherebbe, più che altro, spostare l’inquinamento e i gas serra. Una ricerca EEA (European Environment Agency) ha simulato cosa accadrebbe se l’80% del corrente parco auto europeo fosse composto da vetture elettriche: con l’attuale mix di produzione di energia elettrica ci sarebbe un innalzamento della emissione di CO2 che sfiora il 40%, dovuto appunto alla quota di combustibili fossili che oggi alimentano le centrali elettriche. Un dato che deve far riflettere su quelle accelerazioni non accompagnate dal progresso dei materiali e da decisioni di politica energetica di scala continentale.

Un altro elemento da tenere a mente, è che le auto elettriche non risolverebbero in toto il problema delle polveri sottili, in quanto le Pm 5 e le Pm 10 sono prodotte in gran parte dall’utilizzo di pneumatici e freni.

Guardando dal lato del mercato poi, le auto elettriche sono presenti nei listini ed in crescita, ma nel complesso si vendono ancora poco. La ragione è di una semplicità disarmante: le auto elettriche non sono ancora in grado di equivalere, in funzionalità reale e costo, a quelle endotermiche. Inoltre, l’idea di dover dipendere dalla diffusione delle colonnine (ancora troppo poche, pur finalmente con grandi piani di sviluppo in cantiere anche in Italia) preoccupa non poco l’automobilista, che non vuole essere costretto a pianificare gli spostamenti della sua giornata in funzione dell’ autonomia residua o della disponibilità di colonnine di ricarica.

Certamente gli incentivi nel nostro Paese sono ancora bassi, ma va ricordato agli apologeti del “modello Norvegia” che quella non è esattamente una scala replicabile per chi non può vantare il Fondo Sovrano più ricco al mondo e si compone di 60 milioni di abitanti.

In conclusione, per queste grandi criticità esiste solo una terapia d’urto: investire, investire e ancora investire. A testa bassa.

In ricerca, per batterie più performanti e smaltibili. Nella rete di distribuzione dell’energia e nella diffusione di ricariche più veloci. Nella politica energetica complessiva, aumentando la produzione di energia da fonti sostenibili (possibilmente rinnovabili). Quindi, questa è la via maestra da seguire, ma è evidente che genera effetti soprattutto sul lungo periodo.

Nel frattempo, quale sarebbe allora una istantanea “killer application” realizzabile nel nostro Paese, per rendere subito la nostra mobilità un po’ più sostenibile e salubre, soprattutto nelle città? L’abbiamo molto più vicina di quanto si pensi ed è tutta racchiusa in pochi numeri. Senza immaginare suggestive sostituzioni in blocco del parco circolante, concentriamoci intanto sullo svecchiarlo.

In Italia abbiamo 37 milioni di veicoli privati e di questi oltre la metà ha più di 10 anni e addirittura 5 milioni di auto hanno più di 20 anni, mentre solo 7.5 milioni di veicoli hanno meno di 5 anni. Situazione anche peggiore per i bus pubblici italiani con una età media di 12 anni. Insomma, siamo un record negativo.

Una significativa parte delle auto circolanti appartiene alle obsolete omologazioni Euro 0, 1, 2, 3 (con una quota di Euro 0 non catalizzate pari al 10,1% del totale) mentre meno del 30% sono adeguate alle ultime normative Euro 5 e 6.

Un veicolo “vecchio” consuma ed emette di più e un diesel Euro 1 inquina come 28 autovetture diesel Euro 6. Ossia sostituendo 100 vetture Euro 1 con altrettante Euro 6, si ridurrebbe l’inquinamento generato dall’ uso di questi veicoli di 280 volte!

Se il trasporto deve proseguire il suo contributo nella riduzione di tali sostanze, non possiamo solo aspettare l’esito degli investimenti nella ricerca e nelle infrastrutture. Nel frattempo, dobbiamo anche in modo complementare, con buon senso. La formula a prova di fact checking c’è già: sostituire le auto più vecchie (da Euro 0 a Euro 3) anche con veicoli usati (non tutti possono acquistare un veicolo nuovo), ma di categoria non inferiore a Euro 4, il che consentirebbe di ridurre di una cifra che si avvicina al cinquanta per cento, realmente, le principali fonti di inquinanti da combustione per il traffico veicolare.

Altro vantaggio correlato al parziale ringiovanimento dei veicoli è l’aumento della sicurezza stradale: in caso malaugurato di incidente di un veicolo di 10 anni, per le persone a bordo la probabilità di lesioni gravi (anche mortali) è 5 volte superiore a quella di chi viaggia su un veicolo nuovo.

Ecco affrontata una buona parte del problema, aspettando i Godot della tecnologia che –speriamo- non tardino troppo ad arrivare.

 


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