Romano Prodi torna al centro della scena politica del centrodestra. Lo ha fatto partecipando all’iniziativa promossa da Insieme (la lista promossa da Santagata e Nencini ed alleata del Pd) nella sua Bologna.
“C’è una certa commozione”, ha detto spiegando di tornare in una assemblea politica dopo quasi nove anni. Queste elezioni non sono un appuntamento facile per il centrosinistra e il già due volte premier e “inventore” dell’Ulivo non ha voluto mancare l’occasione per sostenere la coalizione ma anche per mandare alcuni messaggi, neanche troppo cifrati. Anzitutto l’endorsement a favore di Gentiloni, anche fisicamente al suo fianco.
È l’attuale titolare di Palazzo Chigi la persona che secondo Prodi incarna meglio la continuità con le esperienze migliori del centrosinistra. Anche le parole che il professore bolognese sceglie sono importanti. “L’ultima fase di governo mi sembra particolarmente positiva rispetto a dove eravamo arrivati”. Se è facile comprendere il riferimento a chi c’era prima di Gentiloni, la chiosa successiva non lascia alcun dubbio. “Si è capito che questo è un Paese che ha bisogno di essere guidato e non comandato”. Ogni riferimento a Renzi appare puramente voluto (è riuscito). Guardando al 5 marzo Prodi è risoluto nell’indicare la necessità di “ricreare, ricostruire una democrazia efficace”.
Per questo serve anche una nuova “legge elettorale, che dovrebbe essere fatta subito, all’inizio della legislatura”. Quella che viene indicato come un suggerimento potrebbe in realtà rivelarsi una necessità, tanto più se non emergerà dopo il voto una maggioranza parlamentare chiara, e stabile. L’unico a poter concorrere per la vittoria è Berlusconi anche grazie ai “cari amici della scissione”.
Agli ex compagni di viaggio come Bersani, non le manda a dire. “Nei giorni scorsi mi sono pronunciato in modo sfavorevole verso gli amici della scissione, amici cari ma che hanno indebolito fortemente questo disegno. È così importante che la coalizione di centrosinistra sia unita. Serve un contributo plurale per vittoria comune”. Se si perderà, la responsabilità avrà anche i loro volti.
Infine, ma non per ultimo, l’agenda di quel centrosinistra di governo che sta tanto a cuore a Prodi (e Gentiloni). “Avrei gradito un programma per raddrizzare il Paese, non per cercare di prendere i voti di qualche categoria con qualche esenzione fiscale”, punge l’ex premier. Che stronca quelle che definisce “elemosine collettive: si ha l’idea della debolezza e della fragilità. La grande politica va all’attacco sicura e fiduciosa”.
Quanto alla Flat tax, cavallo di battaglia del programma del centrodestra, “quando viene proposta viene proposto un modello di società mascherato: attenzione, le disparità aumenteranno come sta accadendo in America con la ‘intelligentissima’ riforma di Trump”.
Alla fine, a vederli insieme, Prodi e Gentiloni – così come ieri Calenda e Rutelli (sempre accanto al premier) – le difficoltà del centrosinistra sembrano svanire in un ragionamento che mostra una bussola chiara, semplice e comunicabile. Nel mezzo però c’è quel convitato di pietra che quasi nessuno vuole citare o prendere di petto ma che dopo aver portato il Pd al 40% ed essere stato incoronato imperatore oggi appare come la principale ragione di insuccesso della coalizione. Cose che capitano. Soprattutto a sinistra.