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Gli scandali Airbus e il cambio dei vertici

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Airbus si prepara a grandi cambiamenti, dopo l’uscita di scena del capo del commerciale, l’americano John Leahy, che dagli anni ’90 ha macinato grandissimi successi in termini di vendite, a cui seguirà, tra pochissimo, quella del francese Fabrice Bregiér presidente e ceo di Airbus, nonché quella del numero uno del gruppo, il tedesco Tom Enders, prevista nel 2019.

L’IPOTESI DELL’ECONOMIST

Per l’Economist l’addio del top management è da leggersi unitamente alla tornata di indagini che hanno coinvolto in questi anni il costruttore europeo in diversi Paesi, tra cui Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, indagini avviate a seguito di accuse di corruzione che hanno alzato non poco la tensione interna riguardo la governance del gruppo. Accanto a questo, c’è poi il filone aperto in Austria e Germania su presunte irregolarità, legate alla vendita a Vienna del caccia Eurofighter, programma a cui partecipa anche l’Italia. Per gli addetti ai lavori tutto questo potrebbe causare danni per svariati miliardi di dollari al costruttore europeo, che a ottobre ha dato comunque piena disponibilità a collaborare con le autorità americane, dopo l’ammissione della possibilità di aver violato le leggi Usa sull’esportazione di armamenti, a seguito del pagamento di commissioni a consulenti di vendita esterni al gruppo. Una prassi non nuova nel settore, già praticata – osserva la stampa -, da altri big come Boeing, accusata di aver corrotto funzionari per ottenere contratti dal Pentagono, o Rolls-Royce.

LA LINEA SCELTA DAL GRUPPO

Secondo il board of directors, espressione dei governi europei, – sottolinea l’Economist – la linea intrapresa da Enders, ovvero quella di collaborare, come già fatto da altri, con le autorità inquirenti e di operare un cambiamento radicale nella gestione del gruppo (compresa la chiusura nel 2016 dell’unità di vendita che aveva il compito di ingaggiare i consulenti esterni), sarebbe quella giusta, specie per non danneggiare il business connesso all’esportazione dei prodotti della difesa.

I PROGRAMMI ANCORA CRITICI

A prescindere da quello che sarà (e che costerà) l’esito delle indagini, il nuovo top management di Airbus erediterà – sottolinea la testata – una situazione “mista”, con un 59% delle quote di mercato nel segmento dei narrow body, rappresentata dalla famiglia A320, a scapito del 737 di Boeing, e una posizione di potenziale vantaggio in quello dei velivoli regionali più piccoli, grazie all’alleanza in fieri, targata Enders, con il costruttore canadese Bombardier sulla C-Series, a cui Boeing, meglio posizionata sul segmento wide body, sta tentando di rispondere con il costruttore brasiliano Embraer.

Secondo alcuni analisti, rimarranno tuttavia criticità su altri programmi cruciali con cui il nuovo management dovrà fare i conti, come l’A380 (nonostante il rinnovo della fiducia al programma da parte di Emirates, che ne ha ordinati altri 36), l’A350 e l’A400M, che continuano ad affliggere i profitti del costruttore.

IL CONFRONTO CON BOEING

In termini di ordini e consegne, il 2017 di Airbus e Boeing, si è chiuso sostanzialmente in parità, con gli statunitensi in testa per la sesta volta consecutiva per quanto riguarda i velivoli consegnati e Airbus in vetta, per il quinto anno di seguito, per numero di ordini ricevuti. La battaglia aerea ha visto Boeing consegnare 763 aeromobili nel 2017, contro i 718 di Airbus, che ha invece vinto la sfida delle commesse con 1.109 ordini, contro i 912 del competitor.

IL FUTURO NUMERO UNO DALL’ASIA?

Nel 2019 poi, con l’uscita di Tom Enders, che si è sempre “speso – scrive l’Economist – per normalizzare il gruppo, riducendone l’influenza dei singoli governi”, alcuni problemi potrebbero allargarsi. “Airbus – scrive la testata, citando Allan McArtor, ex presidente di Airbus North America – non vuole essere vista come un costruttore di aerei europeo in America o in Cina, ma come un’azienda locale”. Per gli analisti il mercato si aspetta una leadership forte, capace di smarcarsi dai singoli interessi nazionali. Inoltre, osserva la stampa internazionale, la vera azione di rottura sarebbe la nomina di un capo né francese né tedesco, anche perché, si sottolinea in alcuni ambienti finanziari,  “la metà del giro d’affari arriva oggi dall’Asia”.

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