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Gli 007 italiani e i rischi del terrorismo liquido secondo il Copasir

Nell consueta relazione annuale alle Camere riunite del Copasir (Comitato Parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che Formiche.net ha potuto visionare in anteprima, l’organo parlamentare ha informato le due Camere sull’attività svolta nel corso del 2017 e ha esposto le sfide e le priorità future per la sicurezza.

Nel documento, il contrasto al terrorismo occupa, come prevedibile, un posto di rilievo. È su questa partita, chiarisce subito il documento, e nel difficile bilanciamento tra sicurezza e libertà, che “si gioca il futuro delle nostre democrazie e dei valori costitutivi della società aperta”.

Dalla relazione emerge un quadro dove le principali minacce alla sicurezza provengono da un terrorismo che si fa sempre più liquido. Secondo il Copasir, l’indebolimento in Medioriente di un Isis ormai privo del suo califfato, ha coinciso e coinciderà con una maggiore imprevedibilità dei suoi attacchi su suolo occidentale. A questa evoluzione della minaccia, dovrà necessariamente corrispondere un salto di qualità dell’intelligence e una lotta accorta a tutti i processi di radicalizzazione, sia sul web sia nel mondo reale. Per questo, sarà sempre più fondamentale un’intensa attività di prevenzione e repressione, operata in sinergia con tutti gli organi di intelligence e attraverso un continuo scambio di informazione tra i diversi Paesi.

ISIS: PIÚ DEBOLE E PIÚ PERICOLOSO

La Relazione sottolinea gli sviluppi positivi che hanno portato a un drastico ridimensionamento territoriale di Isis nel 2017, avvertendo tuttavia che la débâcle di Daesh sul terreno mediorientale non autorizza a sottovalutare la portata del pericolo tuttora posto dal sedicente Stato Islamico. L’abbandono dell’enfasi posta sul controllo territoriale a cui Isis è stata costretto nel 2017 ha infatti trasformato la natura della minaccia senza però mitigarla. Essa, si legge, è oggi “sempre più configurabile in una dimensione post-territoriale” e “non può essere assolutamente sottovalutata, perché si avvale di strategie di attacco e di azione diversificate, eterogenee e purtroppo, non sempre prevedibili”. Preoccupa, e non poco, la capacità che Isis ha mostrato nel 2017 organizzare attacchi suicidi al di fuori del Medioriente. Per questo “il Comitato ha richiesto e ottenuto informative e approfondimenti” sui tragici eventi verificatosi nel corso dell’anno passato.

Emerge, dalle risultanze delle sedute del Copasir, che “le azioni terroristiche possono compiersi, anche senza una preventiva cabina di regia, da parte dei cosiddetti lupi solitari e di cellule dormienti che si servono di veicoli, armi bianche e ordigni rudimentali, colpendo anche bersagli dal carattere emblematico o simbolico”. Il modus operandi di tali azioni rende le stesse difficilmente prevedibili e difatti il Comitato osserva che tali tipologie di attacchi “fanno ritenere che nessun Paese, compreso il nostro, possa essere al riparo da attentati”. Per l’Italia il rischio è ancora più concreto, se è vero che il nostro Paese “resta luogo di approdo, transito e temporanea dimora di diverse tipologie di soggetti a rischio”.

Proprio questo ha spinto i commissari a chiedere “di essere costantemente informati sul numero e sulle potenzialità offensive di foreign fighters e returnees con riferimento all’Italia”, e in generale sul “problema del rientro nei Paesi di provenienza dei cosiddetti reduci di Daesh”.

LA RADICALIZZAZIONE SI COMBATTE CON LA PREVENZIONE

Altro punto centrale del documento e importante fattore di preoccupazione è il crescente fenomeno di radicalizzazione jihadista, che si realizza “tramite reti di amicizie, legami familiari e interpersonali, oltre che negli ambienti carcerari e nei luoghi di culto”, ma anche “nella rete virtuale, dove sono realizzate forme di propaganda, proselitismo e reclutamento”.

Attraverso quello che il documento chiama il “jihad della parola”, gli abitanti della rete “sono esortati a compiere azioni individuali ovunque si trovino e con qualunque mezzo”.

In questo campo, la relazione segnala i risultati incoraggianti della strategia di contrasto sviluppata negli ultimi anni. Soprattutto con riferimento al decreto legge n.7 del 2015, convertito in legge il 17 Aprile dello stesso anno, che conferisce ai servizi di informazione la facoltà “di effettuare colloqui personali con detenuti e internati, al solo scopo di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale” e autorizza il personale dei Servizi “a condotte previste dalla legge come reato anche in relazione a una specifica serie di delitti con finalità di terrorismo”.

In merito al contrasto al fenomeno di radicalizzazione, la strategia sviluppata si compone di una linea di azione allo stesso tempo repressiva e preventiva. Che, accanto ai “provvedimenti della polizia giudiziaria e alle espulsioni dal territorio nazionale” prevede “misure per monitorare in via anticipata soggetti, episodi e comportamenti prima che la radicalizzazione possa innescare degenerazioni violente”.

Per un’azione più efficace, il Comitato solleva l’esigenza di potenziare, migliorare e intensificare “lo scambio delle informazioni in tempo reale tra Paesi dell’Unione Europea”, da attuare congiuntamente allo sviluppo di un controllo del territorio che si avvale “della sinergia e della cooperazione tra organi di intelligence, autorità giudiziaria e forze dell’ordine e di polizia”.

Il finanziamento del terrorismo internazionale è un altro tema su cui il Comitato ha concentrato la sua attenzione, e che dimostra come la minaccia terroristica abbia subìto un’evoluzione anche con riferimento alle proprie esigenze finanziarie. Ad oggi infatti, “il costo complessivo per la preparazione ed esecuzione di un attentato non è necessariamente elevato” e ciò chiama a un diverso orientamento della ricerca investigativa, “per cogliere gli elementi di sospetto insiti in un’operazione che comporti un trasferimento di denaro o di fondi”.

PIÚ SICURI, MA NON MENO LIBERI

Infine, il Copasir si è anche espresso riguardo al possibile prezzo che le società democratiche devono pagare per implementare le misure e norme di sicurezza per arginare la minaccia terroristica. In particolare su come esse “possono compromettere l’esercizio effettivo dei diritti fondamentali di libertà”.

Su questo, l’organo parlamentare ha rassicurato tutti, osservando che, in Italia, “gli interventi assunti per fronteggiare questi gravi fenomeni terroristici non sembrano aver passato i limiti, in primo luogo costituzionali”. A questo contribuirebbe peraltro la stessa natura del Comitato, che, a dieci anni dalla sua entrata in vigore, “consente l’equilibrio istituzionale tra l’esigenza di combattere il terrorismo in tutte le sue manifestazioni, e di rispettare pienamente il prezioso patrimonio delle libertà fondamentali”.

 

 


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