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Fire and fury. Se il presidente americano diventa una icona pop e social

Di Fabio Benincasa
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Fa discutere il controverso Fire and Fury di Michael Wolff. Il libro, basato su interviste ai membri più importanti dello staff di Trump, dà un ritratto totalmente negativo del presidente, asserendo che i suoi collaboratori lo considerano un idiota, giudizio a quanto pare condiviso anche da Rupert Murdoch, uno dei suoi più potenti supporter. Il volume, anche se scandalistico, ha suscitato un acceso dibattito nella stampa liberal, diventando l’ennesimo atto di accusa a un presidente giudicato unfit.

A rincarare la dose ha pensato lo stesso Trump che, in risposta al libro, ha twittato definendosi “un genio”. Ovviamente, questo ha contribuito ad arroventare lo scontro fra sostenitori e detrattori del magnate. Scontro che però, come sempre, ha il demerito di concentrarsi solo sulla figura mediatica del presidente e troppo poco o per nulla sulla sua reale attività di statista. In questi mesi, i ritratti psico-esistenziali della persona o piuttosto del personaggio si sono moltiplicati senza che nessuno si sia spinto a inquadrarne il sentire profondo o il rapporto con la tradizione politica conservatrice. Lo stesso Trump sembra intenzionato a focalizzare l’attenzione esclusivamente sul suo personaggio.

La questione non è chiarire se sia un genio o un pazzo, attributi romantici e non politici  che possono coesistere nella stessa persona, e neppure se sia veramente idiota o finga per qualche astuzia. Con Trump è stata eletta un’icona mediatica pop, ben consapevole di essere tale, che si sviluppa autoalimentando il suo mito personale sul quale proiettano psicologi camente supporter e detrattori.

In questo non è diverso dai grandi leader mediatici del XX secolo, pensiamo a personaggi come Mao, Kennedy o Reagan ma qui è Trump stesso a rinfocolare questa accesa personalizzazione occupando il campo mediatico e dei social. Trump non vuole apparire né buono né autorevole come intenderebbe un tradizionale leader politico, ma si connota in modo eccessivo come un personaggio Tv (pensiamo all’aggressività dei cuochi di Masterchef o all’arroganza dei tronisti da reality). Come un personaggio dei social, che sostanzialmente riscrive continuamente la propria autobiografia per proporsi come un prodotto, Trump si vende come icona, aderendo a un carattere stereotipato e immediatamente consumabile, finendo per richiamare gli oggetti traslucidi di un Jeff Koons.

La vita imita l’arte? In realtà il presidente Trump è l’ennesimo frutto di un’estetizzazione non tanto della vita politica quanto della nostra vita quotidiana. In effetti, ciò che vediamo di lui non ha quasi più niente a che fare con strategie di governo e traguardi amministrativi, ma con il gossip da soap opera sulla sua vita privata. Trump-pazzo, Trump-genio, Trump-scemo, Trump-Forrest Gump. Per questo c’è una facilità nell’identificarsi in lui. Tutti possono aspirare a creare un’esistenza allo stesso tempo normale, ma eccezionale nella sua irriducibile differenza da tutte le altre. In questo caso, la vita è diventata una vera opera estetica da coltivare 24/7. Il sogno delle avanguardie diventa di massa, materializzandosi come fenomeno politico.

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