Alla fine di gennaio, con un colpo di mano quasi a sorpresa, i separatisti del sud dello Yemen hanno preso il controllo di Aden, città portuale il cui omonimo golfo è uno snodo strategico per le rotte che risalgono il Mar Arabico e l’Indiano verso l’Europa. La mossa dei sudisti ha sottratto la città al controllo delle forze dell’ex presidente Abdel Rabbo Monsour Hadi, alleato di Arabia Saudita ed Emirati Arabi, i due grandi sponsor dell’operazione militare scattata nel 2015 che sta cercando di riconquistare la fascia settentrionale del paese dal controllo di altri ribelli, gli Houthi.
Lo Yemen è stato diviso tra Sud e Nord fino alla riunificazione del 1990, e quello che è successo negli ultimi dieci giorni è un’ulteriore complicazione all’interno del conflitto riaperto dai nordisti Houthi, una milizia di confessione sciita – con ampi collegamenti sia politici che militari con l’Iran – che ha rovesciato Hadi tre anni fa perché considerava il suo governo troppo dipendente da Riad.
L’alleanza tra sauditi ed emiratini contro gli Houthi è una delle punte di lancia delle attività dei due paesi del Golfo; una partnership che ha anche una finalità profonda: il contrasto alle influenze iraniane su tutta una serie di dossier (ma che sullo Yemen, finora, s’è rivelato poco proficuo, non arrivando al bandolo della matassa e guidando un intervento armato che finora ha ucciso oltre 10mila civili e creato più di due milioni di rifugiati).
Ora, la mossa su Aden dei sudisti, che hanno collegamenti diretti e dipendenti da Abu Dhabi, può sembrare una rottura tra i due paesi del Golfo, ma spiega a Formiche.net Cinzia Bianco, analista della Gulf State Analytics e Phd Candidate all’Università di Exeter, la realtà è più complessa. “Sulla carta, i sudisti hanno fatto una mossa sponsorizzata dagli Emirati, ma contraria ai sauditi, che hanno in Hadi l’alleato chiave all’interno del conflitto, ma – aggiunge l’analista – forse più che una spaccatura questo può indicare che Riad ha scelto di scaricare l’ex presidente, cambiare la linea, e ascoltare Abu Dhabi”.
Gli emiratini hanno collegamenti con il Southern Transitional Council, il gruppo politico secessionistico del sud, e stanno chiedendo agli alleati sauditi di usare le milizie collegate all’STC per proseguire la guerra. Scommettere sui separatisti del sud è anche una necessità tecnica: l’esercito guidato da Hadi è annacquato, sfaldato, indebolito, ancora di più dopo la morte di Ali Abdullah Saleh, ex presidente del paese che in un primo momento si era schierato con gli Houthi, ma poi aveva aperto a un partnership con sauditi ed emiratini, salvo poi essere ucciso dagli stessi ribelli del Nord pochi giorni dopo che la notizia del suo cambio di casacca si era diffusa.
“Alcuni ambienti vicini ai secessionisti meridionali che ho potuto contattare – aggiunge Bianco – iniziano a far circolare la notizia di una specie di accordo tra Riad e Abu Dhabi con l’STC: sarebbero pronti a fornire addirittura copertura aerea ai separatisti del sud, a patto che questi continuino la guerra salendo verso nord e conquistando almeno la tutta la fascia costiera”. Che, di fatto, è la zona di maggiore interesse strategico, perché gli affacci sul Golfo di Aden salgono fino al Mar Rosso in una delle aree geopolitiche più importanti e sensibili del pianeta. Un “alto ufficiale” della Marina israeliana ha dichiarato lunedì a Haaretz che secondo i dati di intelligence in mano a Gerusalemme (che è interessato alla situazione per il confronto con l’Iran) gli Houthi hanno intenzione di minacciare quelle rotte marittime, in particolare lo Stretto di Bab el Mandeb (la lingua di mare che divide la Penisola Arabica da Gibuti); due anni fa un missile antinave lanciato dai ribelli yemeniti distrusse un mezzo anfibio emiratino poco a nord.
Riad, sui media, continua a dire che ci sono progressi militari, ma in ambienti riservati sono gli stessi funzionari sauditi che ammettono che si sta girando sempre attorno allo stesso fronte (negli ultimi giorni è Sa’da, vicino al confine saudita, il centro dei combattimenti, dove la Coalizione araba ha compiuto una cinquantina di raid in poche ore). I sudisti, che hanno una buona capacità militare e sono piuttosto motivati, potrebbero essere i boots on the ground dell’alleanza che si è mossa dal Golfo e da anni, nonostante la superiorità tecnica, è rimasta impantanata nel Vietnam Saudita dello Yemen. D’altronde, spiega Bianco, per Riad l’unica opzioni alternativa per superare lo stallo era il link con la Fratellanza musulmana e le milizie yemenite collegate: gli emiratini detestano i Fratelli, tuttavia hanno accettato un incontro con il loro massimo rappresentante politico(/militare). Il punto è che la Fratellanza ha poche motivazioni, e quasi certamente non sarebbe disposta a spostarsi nella guerra fino al Nord.
Lo Yemen, il più povero paese mediorientale, è diventato un dossier complicato perché è il territorio per il confronto aperto tra Iran e paesi del Golfo. Lunedì, per esempio, l’Arabia Saudita ha denunciato un nuovo lancio missilistico da parte dei ribelli Houthi, diretto verso la città di Khamis Mashit (nel sud): il colonnello Turki al Maliki, portavoce della coalizione a guida saudita, ha dichiarato che sono stati già lanciati dai ribelli, ed intercettati, 95 missili. Riad sostiene che questi vettori siano stati forniti ai ribelli nordisti dall’Iran con l’intenzione di usare il conflitto yemenita come proxy per attaccare l’Arabia Saudita (la ricostruzione non è troppo sbilenca, ma ha una certa reciprocità); Israele rincara la dose e dice che l’Iran ha provveduto a passare ai ribelli yemeniti non solo i pezzi per assemblare i missili, ma anche il know how necessario attraverso i miliziani libanesi di Hezbollah, satellite armato di Teheran.
La sensibilità della guerra civile e del confronto regionale è incrementata dalla presenza in Yemen di fazioni jihadiste collegate alle sigle del terrorismo internazionale. Per esempio, nel sud del paese c’è una fascia di territorio in mano all’Aqap, la filiale qaedista a cui Ayman al Zawahiri ha affidato il compito di compiere attentati internazionali.