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E adesso di corsa verso una nuova classe dirigente

Le urne, finalmente, si sono chiuse. Fine delle promesse, degli spot, della corsa a chi taglia più tasse, a chi regala più bonus. Abbiamo messo un punto e adesso, come vuole la Costituzione, il Colle conferirà il mandato.

Viva le bocce ferme perché consentono di guardare avanti, ad un versante assolutamente dirimente per le sorti stesse della politica: l’accesso ai partiti, la formazione della classe dirigente, la costruzione degli amministratori e dei legislatori di domani. Roba vecchia?

Per niente proprio, anzi, proprio perché si è scelto colposamente nell’ultimo ventennio di non occuparsene più, ecco che il risultato è un quadro che non è migliorato rispetto alla Prima Repubblica. Ieri le scuole di politica: Piazza del Gesù con la Dc, Botteghe Oscure con il Pci, via del Corso con il Psi e via Della Scofa con il Msi. E poi i sindacati, i corpi intermedi, il mondo dell’associazionismo, le parrocchie, i teatri, le scuole di musica e i campetti di periferia. Luoghi di aggregazione e di formazione che erano un punto fisso.

Oggi, dopo che nel 1992 quel mondo è finito, come si seleziona la classe dirigente e i candidati? Tra mille e più bravi politici, perché ce ne sono di bravi, spiccano però anche quelli 2.0.

Ovvero i cow boys che hanno la possibilità economica di decidere, un bel giorno, di fare un passo nell’agone politico; quelli che trainati dal mondo dello spettacolo legittimamente poi vanno ad amministrare anche grazie al fatto di essere volti noti; quelli che sono diventati famosi grazie ad un fatto di cronaca e quindi sono riconoscibili e arruolabili; quelli che hanno vinto un’Olimpiade e quindi possono occupare uno scranno; quelli che hanno da cercare un paracadute perché il cda dove sedevano prima è scaduto; quelli che…insomma che vivono in un’era partitica dove sono saltati gli schemi. Le scuole citate prima erano delle fabbriche del sapere.

Si studiava, si leggeva, ci si confrontava, ci si allenava al dibattito e al perfezionamento della favella anche grazie alla presenza di maestri di una certa levatura. Non è passatismo guardare a quel modello per tentare di migliorare i contenitori di oggi che, purtroppo, presentano svarioni oggettivi, come dimostrano le classifiche europee dove troppo spesso l’Italia popola gli ultimi posti anche per una proposta politica non all’altezza.

E non serve accendere la tv e guardare un servizio qualsiasi per rendersi conto che accanto a mille e più bravi politici, ve ne sono altrettanti senza gli strumenti necessari per occuparsi della res publica. E non è una tesi populista.

Non ci credete? Provate a chiedere a qualche democristiano. Senza dubbio ricorderà le ramanzine di Remo Gaspari, o le lezioni di Aldo Moro, piuttosto che i comizi di Fanfani. O interrogate i piccì di un tempo: nessuno a Botteghe Oscure potrà dimenticare l’olio di gomito che occorreva per superare gli esami, salire ad un piano più nobile, essere all’altezza del parlamentare a cui portare la borsa.

Oppure chiedete a qualche missino: a via Della Scrofa si studiava, altrimenti c’era lo scappellotto di Pinuccio Tatarella che richiamava i ragazzi all’ordine prima di un nuovo giornale da aprire. No, non è folklore, o ricordi, o minestre vecchie che qualcuno vorrebbe riscaldare e rimettere a tavola. E’soltanto il modo più logico per far sì che la politica dell’oggi, quella che fa a gara a chi la spara più grossa, con ministri che non conoscono i congiuntivi, o che si scattano un selfie mentre si abbuffano o mentre accarezzano il proprio cane, si guardi allo specchio e non nello smartphone: e cerchi le differenze rispetto ad un passato che, tra mille difetti e inadempienze, era comuque costellato da teste pensanti, leader non spuntati fuori dai “mipiace” di facebook, personaggi che venivano dalla guerra e dalla ricostruzione di un Paese.

Dal 1992 ad oggi la selezione della classe dirigente in Italia non è stata all’altezza di quella di altri paesi. Angela Merkel in alcune foto sbiadite era comunque in compagnia di quei nomi che hanno fatto la Germania. Eccezione fa il solo Macron, che però per costruire il partito che non c’è, il suo movimento En Marché, ha pescato tra i “ragazzi” di Strauss Kahn l’ex numero uno del Fondo Monetario Internazionale la cui corsa all’Eliseo è stata fermata da uno scandalo sessuale su cui le ombre superano le certezze. Gente dai curricula pesanti, con voti alti, altissimi e competenze che sgorgano come la fresca acqua di fonte.

Esterofilia? No, solo guardare in casa d’altri per imparare e non per perdere terreno così come l’Italia ha fatto. La mortificazione della politica intesa come summa di incompetenze ha toccato il suo punto più alto con casi limite, come quelli di Razzi e Scilipoti, ma la lista è lunga intendiamoci.

E per scremarla servirebbe un certificato di laurea politica, una sorta di pass che attesti la capacità del candidato a legiferare e amministrare, con la promessa di ripagare il paese di eventuali errori. Le scienze politiche prima che diventassero un refugium peccatorum erano un ambito di studi da cui venivano fuori la maggior parte di new politics (oltre che da giurisprudenza).

Oggi va di moda allungarsi il curriculum con il master nell’ateneo privato che è controllato da quel gruppo o da quell’altra fazione, ci si scambiano favori e stellette da appuntare sul petto, si combatte impugnando la telecamera del proprio cellulare anziché un libro di Oriana Fallaci o di Emanuele Macaluso, ci si trastulla alla bouvette anziché fare come Socrate e i suoi giovani sulla salita del Pilkionis sotto l’Akropoli, quando tra profumi di gelsomini e sandali impolverati, ci si abbeverava davvero alla fonte del sapere.

E solo dopo si scendeva in campo. Altri tempi, altri uomini, altri frutti.

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