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Il dopo Afrin e la prima pietra della nuova ottomanizzazione targata Erdogan

La conquista da parte di Erdogan di Afrin segna la plastica estensione del nuovo corso di Ankara, dove la politica estera è di fatto teleguidata dall’ottomanizzazione turca che in Siria trova il suo baricentro, anche in chiave mediorientale. Ma con l’ombra di un possibile genocidio, come i leader politici curdi denunciano e in attesa di un altro banco di prova significativo: le elezioni in Iraq di maggio in cui Ankara non vuole far mancare la sua “presenza”.

QUI AFRIN

Conquistare Afrin per completare la crociata anti curda e accreditarsi come nuova potenza macroregionale a cavallo tra Mediterraneo e Medio Oriente. Non si ferma la marcia di Erdogan che usa la Siria come una clava per liberarsi dei suoi nemici di sempre: curdi e anche europei, che però nel frattempo gli staccano un assegno da 3 mld di euro per gestire il dossier migranti.

Non solo le mille vittime tra bambini, anziani e donne ma anche la distruzione di una statua simbolo della cultura curda, il fabbro Kawa. A ciò si somma l’esplosione di ieri in un’abitazione di Afrin, che ha colpito sette civili e quattro miliziani dell’Esercito siriano libero. Ankara ha messo nel mirino le Ypg e il loro partito, l’Unione democratica (Pyd) accusati di contiguità con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).

YPG

C’è anche la volontaria inglese Anna Campbell tra le vittime uccise ad Afrin, con un doppio record: si tratta della prima cittadina britannica a perdere la vita in Siria dall’inizio dell’operazione “Ramo d’ulivo” e la prima a morire combattendo a fianco delle forze curde in Siria. Il convoglio con il quale viaggiava è stato colpito da un missile turco. La 26enne prima era giunta in Turchia per unirsi alle unità curde nella lotta contro lo Stato Islamico, ma poi aveva scelto di spingersi sino ad Afrin. Dopo i primi no, hanno ceduto alla sua insistenza e, come detto al Guardian dalla portavoce dell’Ypj Nesrin Abdullah, il suo martirio “rappresenta una grande perdita per noi perché con la sua anima internazionale, il suo spirito rivoluzionario e la sua dimostrazione del potere delle donne, aveva espresso la sua volontà in tutte le sue azioni”.

OLTRE LA SIRIA

Ma oltre la Siria c’è dell’altro. Secondo il gruppo parlamentare curdo Gorran c’è stata “aggressione turca” sul suolo iracheno dopo che lo scorso 8 marzo, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu, ha dichiarato che la Turchia condurrà un’operazione militare congiunta con l’Iraq contro le postazioni del Pkk a pochi giorni dalle elezioni irachene, a maggio. Per cui ecco che la presenza militare turca in Iraq del nord, autorizzata dal governo federale iracheno potrebbe causare la reazione della popolazione curda, già azzoppata dall’ingresso ad Afrin delle truppe turche.

Tra l’altro lo scorso 9 marzo anche il premier turco, Binali Yidlirim, aveva sottolineato che Ankara e Baghdad sono “a stretto contatto” nella preparazione dell’operazione contro il Pkk in Iraq settentrionale, che dovrebbe svolgersi entro il mese di maggio, casualmente periodo elettorale.

Un asse che trova un altro elemento di contatto nei tre giorni di lutto proclamati a Sulaymaniyah, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, per la caduta di Afrin. Il governatore Abubakir ha invitato il popolo della regione e tutti i partiti ad esprimere pacificamente il loro sostegno ad Afrin.

QUI ALGERIA

Una situazione che si riverbera anche nei rapporti con altri Paesi “sensibili” come l’Algeria che avrebbe rifiutato di accettare l’abolizione dei visti con la Turchia per i cittadini di entrambi i paesi. In questo modo Algeri ha respinto le ripetute richieste avanzate dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan con la motivazione che persistono “profonde differenze tra i due paesi in materia di sicurezza e di approccio ai conflitti in corso nella regione del Nord Africa”, così come fatto trapelare da fonti diplomatiche.

In caso di una liberalizzazione dei visti si potrebbe creare, è il timore algerino, una sorta di corridoio in tempo reale tra i due paesi reso pericoloso dal fatto che la Turchia è territorio di transito per combattenti estremisti in Siria, Iraq e Libia.

Ma Ankara non desiste, forte dei numeri degli investimenti turchi in Algeria che ammontano a 3,5 miliardi di dollari, ma con l’intenzione di Erdogan di arrivare a 10 miliardi di dollari grazie a nuove partnership su gas, opere pubbliche e siderurgia, le cui basi sono state gettate lo scorso 26 febbraio in occasione della visita in Algeria del presidente turco.

twitter@FDepalo

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