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Aspettando il 4 marzo

Siamo ormai troppo vicini alla data delle elezioni per parlarne liberamente senza incorrere nel rischio della censura da par condicio.

Quindi non mi esprimerò, per l’ennesima volta, sul significato in chiave europea delle elezioni italiane. Sulla possibilità di giocare quel ruolo d’impulso e mediazione che hanno contraddistinto la storia del nostro rapporto col processo d’integrazione europea. Lo hanno autorevolmente fatto, d’altronde, organizzazioni e gruppi della società civile (Movimento Europeo: www.movimentoeuropeo.it; Movimento Federalista Europeo: www.mfe.it; un gruppo genovese di personalità indipendentiwww.soprattuttoeuropa.eu) che nelle ultime settimane hanno raccolto consensi e supporto da varie fasce della popolazione.

Mi riservo di pronunciarmi successivamente, quando la tornata elettorale sarà terminata, quando avremo risultati certi e ci troveremo di fronte agli scempi di questa legge elettorale, voluta apposta per non far vincere nessuno.

Quello che mi preme qui mettere in evidenza è che il 4 marzo è una data decisiva per l’Europa anche sotto un altro profilo. È il giorno in cui verrà annunciato il risultato del referendum all’interno della base SPD, i socialdemocratici tedeschi, sull’accordo di governo per la Große Koalition.

Un accordo centrato sul rilancio dell’integrazione europea, sull’accoglimento di buona parte della piattaforma di condivisione della sovranità proposta da Macron, sulla cessazione di un orientamento esclusivamente rigorista della politica europea. Insomma: per una ripresa del cantiere europeo di costruzione di una più genuina democrazia sovranazionale dotata di competenze ed istituzioni che la rendano in grado di essere protagonista e guida nei cambiamenti globali e soggetto capace di affrontare e soddisfare i bisogni dei propri cittadini.

Se l’SPD darà il suo assenso, ci aspettiamo un’accelerazione rapida del percorso di revisione ed attuazione dell’integrazione europea. Alla quale sarebbe impossibile, o estremamente costoso e quindi suicida, resistere. Con buona pace di tutti i proclami anti-euro e anti-Europa che hanno deliziato la campagna elettorale italiana negli ultimi mesi. Perché chiunque fosse al governo, dovrebbe improvvisamente trovare una compatibilità di fondo con questo nuovo orientamento franco-tedesco per una trasformazione in senso federale della Ue, o di una parte di essa. A meno di non voler rimanere fuori dalla storia.

La vera partita si gioca sui rapporti di forza fra SPD e CDU in Germania; e tra la forza relativa dei diversi approcci all’integrazione di Francia e Germania: su un’Europa più orientata al rigore che alla discrezionalità, più al mercato che alla creazione di spazi pubblici di intervento nell’economia, più al sociale che al solo mondo delle banche e della finanza, più agli investimenti collettivi europei che alla frammentazione degli interventi espansivi nazionali.

In questo quadro evolutivo, quello che succederà all’Italia è, prima di tutto, un problema italiano. Se non saremo capaci di influenzare il dibattito che si dovesse aprire sulla riforma dell’Unione Europea, se dovessimo rimanere fuori da una eventuale avanguardia federale, se ci dovessimo sfilare da una nuova e coraggiosa ripartizione e condivisione delle competenze in materie strategiche… saremo prima di tutto noi a pagarne le conseguenze.

Ciascuno è artefice della propria sorte.

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