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Così Brexit sta mandando in frantumi gli equilibri interni dei conservatori e laburisti in Uk

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Non è stato semplicemente un fine settimana di fuoco per Jeremy Corbyn e Theresa May. Ma sono le ultime settimane della politica inglese a mostrare una dimensione tremendamente travagliata e confusionaria. Qualcuno direbbe, “merito”, colpa, dei leader delle due principali forze politiche che non pare si stiano avviando in perfetta forma all’appuntamento politico delle prossime elezioni locali del 3 maggio. Eppure lo scontro è tutto con i loro stessi partiti, e non l’uno contro l’altro come ci si aspetterebbe.

Dopo tante piccole frizioni, ma in particolar modo dopo l’affare Skripal, Corbyn si trova ad essere particolarmente disprezzato dalla maggioranza dei suoi parlamentari. Sono davvero in tanti, oggi, che farebbero di tutto per sbarazzarsi di lui. E, come se non bastasse, in questi giorni ha anche dovuto chiedere scusa del suo antisemitismo. È riaffiorata, infatti, una vicenda risalente a circa sei anni fa in cui il leader della sinistra inglese aveva criticato la decisione di rimuovere un enorme murale, sfacciatamente antisemita, apparso nella zona est di Londra.
Oggi la vicenda è tornata a galla e “la primula rossa” ha dovuto chiedere scusa – per la prima volta – della sua avversione a Israele. E non è certamente un episodio ridicolo per un importante partito politico nel ventunesimo secolo in Europa.

Nel frattempo la signora May affronta un’opposizione interna sempre più ostile e ben organizzata. L’oggetto della contesa resta sempre la Brexit. I Tory, almeno i più, ritengono che l’accordo transitorio della scorsa settimana con l’Unione europea, non sia niente di meno che un cinico compromesso.
Jacob Rees Mogg è convinto che la Gran Bretagna subirà la sua più grande umiliazione nazionale dalla crisi del canale di Suez, se il Paese rimarrà legato all’Ue dopo la Brexit. E sono in tanti a pensarla come lui. Soprattutto, sempre di più, iniziano a domandarsi se la signora May abbia mai davvero creduto alla Brexit e temono il peggio: che alla fine l’Inghilterra rimanga ancorata a Bruxelles il più vicino possibile. Un “vassallaggio” non troppo gradito. Anzi. Si tratterebbe di un tradimento bello e buono della volontà popolare.

La furia dei tory è esplosa qualche giorno fa, quando i conservatori hanno rifiutato di approvare un rapporto che, sostanzialmente, chiedeva un’estensione del periodo di transizione. E, intanto, si domandano il perché del contratto per la produzione del nuovo passaporto britannico in Francia, invece che in Inghilterra.
Allo stesso tempo, però, resiste un’ala del partito che sostiene con le unghie e con i denti il cosiddetto accordo morbido con Bruxelles. Tradotto in politichese, allo staso delle cose, la signora May non può fare affidamento su di una maggioranza parlamentare. Il periodo più pericoloso della sua presidenza è dietro l’angolo. E a trattenere alcuni del suo partito dalla tentazione di spodestarla è solo la grave minaccia di Jeremy Corbyn prossimo primo ministro.

Il momento è delicatissimo anche per la primula rossa. Lo stesso Corbyn sembra, infatti, alle prese con una guerra civile nel suo stesso partito. Momentum – il movimento attivista che lo sostiene – ha già preso di mira una serie di figure moderate del partito laburista da mandare fuori dai giochi: sono in tanti ad aspettarsi, prossimamente, la caduta di diversi deputati laburisti considerati sleali a Corbyn. Una lotta intestina all’interno della sinistra inglese, senza esclusione di colpi, insomma. Ed è prevedibile che lo stesso Corbyn finirà col subire fortissime pressioni per condannare gli attivisti di Momentum, cosa che potrebbe sfuggire al controllo in breve tempo. Che i laburisti, allora, si possano trovare ad avere, effettivamente, due leader non sembra una possibilità troppo surreale.
La politica inglese sta per entrare in un periodo di caos e se la sopravvivenza del primo ministro non è certo sia garantita, la disgregazione del partito laburista non è fantascienza.

La posta in gioco è altissima, e proprio alla vigilia del momento più importante della battaglia sulla Brexit.

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