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Per guardare al futuro occorre partire dall’iniquità del presente. Parola di Giuliano Amato

Il nuovo governo è lungi dall’essere formato, ma per molti osservatori è già tempo di pensare a dove mettere le mani una volta che l’esecutivo vedrà la luce. Ieri, nella cornice dell’Enciclopedia italiana a Palazzo Mattei si è tenuto il dibattito Idee per l’Italia di domani, alla presenza, tra gli altri del direttore generale della Treccani, Massimo Bray, del direttore della scuola Normale Superiore, Vincenzo Barone, dell’economista Pierluigi Ciocca e della direttrice di Aspenia, Marta Dassù. Ospite il ministro dello Sviluppo uscente, Carlo Calenda mentre le conclusioni sono state affidate al giudice della Corte costituzionale ed ex premier, Giuliano Amato (nella foto).

L’incontro, che è stato anche l’occasione per presentare il think tank Agenda – Rethinking european democracy, ha mosso dalle considerazioni di Massimo Bray, ex ministro della Cultura nel governo Letta. “Dobbiamo capire che cosa intendiamo quando parliamo di nuova Italia, quando parliamo del domani. Io personalmente parto dal paesaggio, dal turismo, dal valore dei beni culturali. Leve su cui troppo spesso mancano politiche adeguate. Un vero peccato perché se penso al domani mi viene in mente una classe dirigente che possa davvero essere attenta a queste tematiche. Penso che da questo dobbiamo ripartire, dalla centralità della cultura”. L’unico modo, è stato il messaggio di Bray “di avere un’idea di Paese che ora non vedo”.

La visione di Bray è stata sostanzialmente condivisa anche da Vincenzo Barone, per il quale la ripresa del Paese passa indubbiamente “attraverso la cultura. Ma in una chiave più tecnologica, che possa portare il patrimonio culturale nell’era 4.0. Beni culturali, paesaggio e qualità della vita possono essere i campi privilegiati dove le nuove tecnologie possono trovare terreno fertile. L’Italia del domani è anche questo, una valorizzazione del nostro patrimonio con metodi tecnologici. Serve un Paese che si renda conto di questo, della necessità una volta tanto di investire nella nostra storia”.

Il titolare dello Sviluppo, affiancato per l’occasione dal segretario della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, co-firmatario del manifesto Industria 4.0 (qui l’intervista a Formiche.net di pochi giorni fa), ha voluto giocare il suo intervento sul rapporto futuro-presente. “Temo che ci sia stato un errore di fondo, pensare troppo al futuro senza occuparci del presente. Nei programmi dei partiti mai come ora è stata presente la parola futuro. E invece non ci siamo occupati del presente”.

Il ragionamento di Calenda è semplice. “Lo scenario futuro è così incerto ed è giocato su paradigmi estremi, che terrorizzano la gente. A forza di preoccuparci del futuro ci stiamo dimenticando di risistemare l’Ilva, tanto per fare un esempio. Bisogna andarci piano con il futuro. C’è una classe dirigente che a forza di parlare del futuro, del domani, ha distrutto la propria credibilità”.

Parlando poi proprio del futuro “ma quello vicino, non quello lontano, penso che per esempio non dobbiamo perdere gli investimenti dell’Industria 4.0 perché rischiamo di perdere un milione di posti di lavoro”, ha spiegato Calenda. “Allora dico che è meglio partire dal presente e dalle sue iniquità, come può essere il caso Embraco, per governare la transizione nel futuro”.

Ad allargare il discorso all’Europa ci ha pensato Marta Dassù, per la quale nel futuro dell’Italia c’è un serio rischio di esclusione. “Abbiamo davanti un’Europa sempre più divisa, e non parlo solo della Brexit. Un’Europa che rischia di escluderci, di tagliarci fuori dalle decisioni. Vedo un’Italia che ha dato tanto all’Europa ma che ora rischia di essere messa all’angolo”.

A conclusione dell’evento, le considerazioni di Amato. “C’è indubbiamente un’iniquità del presente, dove i giovani sono i più penalizzati. Si attenua il loro presente pensando al futuro”. Amato ha anche affrontato il tema della tecnologia applicata alla formazione dei giovani. Una risorsa, in grado di concedere vantaggi inaspettati alle nuove generazioni. “Non dobbiamo aver paura di ammetterlo, la tecnologia oggi è un qualcosa dalle enormi potenzialità. Penso al mondo accademico, alle università. Con essa si possono esplorare nuove frontiere della formazione e dare ai giovani delle forme di innovazione scientifica inaspettate”. L’ex premier ha citato in questo senso una delle università più tecnologiche al mondo, la Stanford University.

 

 

 

 

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