I complessi algoritmi sviluppati da Cambridge Analytica – la compagnia di analisi accusata di aver sottratto le informazioni di oltre 50 milioni di profili Facebook e di aver utilizzato questi dati sensibili per influenzare le elezioni che hanno visto Donald Trump vincente negli Stati Uniti – sarebbero stati in grado di portare il concetto di fake news “a un livello successivo”.
L’accusa, che getta un’ombra inquietante sulle possibilità offerte dalla tecnologia per influenzare le scelte degli utenti ad uno stadio sempre più profondo, non giunge da una persona qualunque, ma da Christopher Wylie, un informatico che ha lavorato nella società di analisi fin dalla sua fondazione, lasciandola prima che si collegasse formalmente con la campagna Trump perché ‘pentito’.
LA TECNOLOGIA DI CA
Per l’ex dipendente della società e ‘whistleblower’ che ha consentito all’Observer-Guardian e al New York Times di sollevare il caso, CA avrebbe acquisito una enorme mole di dati con l’intento di conoscere meglio determinati utenti e poi creare delle informazioni che potessero cambiare le loro percezioni. “Ciò”, ha detto all’emittente americana Nbc, “è basato sul concetto di ‘predominio informativo’, che è l’idea secondo la quale se riesci a impossessarti di ogni canale di informazione intorno a una persona e sei in grado di diffondervi contenuti, puoi cambiare la sua percezione di ciò che sta realmente accadendo”.
ESPLORARE LE VULNERABILITÀ
Cambridge Analytica, ha detto ancora Wylie, avrebbe puntato a “esplorare le vulnerabilità mentali delle persone” e lavorerebbe per creare “una rete di disinformazione online in modo che le persone inizino fare clic” su determinati blog e siti web. L’ex dipendente ha poi aggiunto di non sapere fino a che punto la campagna di Trump abbia usato queste tecniche, ma che l’ex direttore della campagna di Trump, Corey Lewandowski, si sarebbe incontrato con CA (dove in passato sedeva come vice presidente anche l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon) nel 2015, prima che il magnate newyorkese annunciato la sua candidatura.
LA DIFESA DI CA
La società, che tra i finanziatori avrebbe anche il magnate filo-conservatore Robert Mercer, nega ogni addebito addossando le responsabilità ad un’altra compagnia – la Global Science Research – che avrebbe fornito i dati acquisiti in maniera illegale. “Quando è diventato chiaro che i dati non erano stato ottenuti da GSR secondo i termini di servizio fissati da Facebook, li abbiamo cancellati”, ha fatto sapere Cambridge Analytica. Non sarebbe andata proprio così, a sentire Wylie. “Chiedevamo alle persone di partecipare a sondaggi di carattere psicologico. L’app raccoglieva i dati da Facebook, si inflitrava nella rete di amici e ricavava dati anche da quest’ultimi. E’ come un’ombra digitale di te stesso: quando sei suoi social, delinei la tua identità”. “Quando metti un like o un follow, riveli piccoli dettagli. E se noi acquisiamo un numero sufficiente di dettagli, possiamo iniziare a definire il tuo profilo”.
IL TONFO DI FACEBOOK
La società di data mining non è comunque l’unica ad essere in difficoltà. Nel frattempo, dopo lo scoppio del caso, le azioni di Facebook sono crollate a Wall Street, trascinando giù il Nasdaq, l’indice dei principali titoli tecnologici. Il social network di Menlo Park è ritenuto colpevole di aver scoperto già nel 2015 che i suoi dati erano stati trafugati in massa ma di non avvertito i suoi utenti e aver sottovalutato i rischi che quanto avvenuto poteva comportare.
LE REAZIONI
Per questo, il social network è finito assieme a CA nel mirino di parlamentari britannici e statunitensi che chiedono inchieste governative nei rispettivi Paesi. In Italia è stata invece la deputata e responsabile Comunicazione di Forza Italia, Deborah Bergamini, a chiedere una “urgente audizione sul caso”.
E anche il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, ha scritto su Twitter che “le denunce riguardanti il cattivo uso dei dati degli utenti di Facebook sono una violazione inaccettabile dei diritti alla privacy dei nostri cittadini. Il Parlamento europeo indagherà appieno, chiamando le piattaforme digitali a darne conto”.