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Se il centrodestra si rivela capace di andare oltre il suo passato

Partiamo dai fatti: l’Italia ha, dopo pochi scrutini, i nuovi presidenti della Camera e del Senato. Aggiungiamo a questo, un secondo fatto: una delle situazioni politiche più complesse della storia politica e parlamentare ha avuto una soluzione rapida, efficace e pulita.

L’elezione Roberto Fico e di Maria Elisabetta Alberti Casellati non sono importanti, infatti, di per sé. Quando tutto funziona, le singole persone hanno sempre un valore contingente in democrazia, sebbene mai una relativa importanza, ovviamente. Quello che conta realmente, in questo caso, è l’iter politico che ha portato due minoranze vincenti a fare un patto per dare al Paese la seconda e la terza carica dello Stato. Se ben si guarda, le istituzioni nel loro complesso hanno adesso un equilibrio perfetto e una piena legittimità: la Camera al M5S, il Senato al Centrodestra e il Quirinale, supremo e cruciale ruolo di garanzia, espressione elettiva della minoranza di Centrosinistra.

La partita, giocata fin qui dopo il 4 marzo, ha avuto alti e bassi, ed è stata segnata dalla velocità e dalla concretezza disarmante nelle ultime ore. Anche la presunta rottura, che ieri sera sembrava addirittura aver spezzato l’asse Lega-Forza Italia, è stata risolta nella notte, tra Wapp e telefonate, con un pragmatismo e una tempestività che non vedevamo da anni, spiazzando perfino i social media.

Il regista è stato Matteo Salvini e il tessitore Giancarlo Giorgetti, ma una parte in causa non meno importante l’ha avuta certamente Luigi Di Maio. Il tempo ha reso desueto il ritmo lento dell’antica diplomazia. La Lega ha avuto l’accortezza di non farsi dominare dalla sete di potere del “tutto e subito” di renziana memoria, antico male anche del vecchio centrodestra, ma ha visto prevalere la ragionevolezza di un futuro che potrà costruirsi completamente, magari non in questa Legislatura, ma di sicuro in modo iniziale nelle prossime settimane.

La partita governo sarà, infatti, da lunedì al Quirinale nelle sagge mani del Capo dello Stato. E comunque andranno le cose, anche nella peggiore delle ipotesi, non torneremo alle urne con Paolo Gentiloni presidente del Consiglio. Questo è certo.

Le prospettive plausibili sono due, e solo due: o un governo centrodestra-M5S o uno minimale, poco plausibile ormai, Lega-M5S. In ogni caso Di Maio e Salvini potranno profittare per rendere il sistema pronto comunque alla loro alternanza di domani. È questo, d’altronde, il bello del modello parlamentare: costringe i vincenti ad allearsi anche loro malgrado, facendo maturare la vera essenza diplomatica della politica con i tempi giusti.

Il vero perdente, Matteo Renzi, resta a guardare e giustamente, almeno per ora. Il Pd dovrà darsi un tempo per capire chi potrà essere e guidare un partito devastato dagli eventi, in un contesto in cui il prossimo segretario dovrà essere forte e non potrà più solo rottamare il vecchio, dovrà competere dentro e fuori con avversari alla pari che conducono benissimo i giochi senza pensare di essere l’unico avamposto generazionale di riforme impossibili.

Quella di ieri, in ogni modo, è stata una giornata importante per le istituzioni, e va vissuta così. Il Centrodestra, in fin dei conti, può iniziare adesso a guardare oltre il suo passato, avendo nel suo seno la forza della storia berlusconiana, con una leadership nuova che piace alla gente ed è capace di fare politica vera.

La negoziazione difficile che si è appena conclusa, a conti fatti, è stata indubbiamente il primo capolavoro politico di Salvini, tradotto nel nuovo volto delle istituzioni da oggi in carica, un itinerario compiuto nel segno preciso e attento del mandato elettorale complesso, tanto chiaro quanto per nulla risolutivo. Il resto si vedrà e soprattutto si costruirà pian piano, come è giusto che sia. L’Italia, è bene non dimenticare mai, va sempre avanti e dimostra proprio nei momenti difficili di essere la grande nazione che è, dotata di risorse inattese e stupefacenti sempre nascoste dove nessuno si aspetterebbe.



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