Prima era il Nimby (Not in my backyard), poi è arrivato il Pimby (Please in my backyard) che, all’opposto, è quel movimento d’opinione che cerca di attrarre a ogni costo nel proprio territorio determinate opere e progetti. E oggi siamo giunti al Nimto (Not in my terms of office), e cioè “non durante il mio mandato elettorale”, acronimo che riassume il fenomeno secondo il quale le amministrazioni pubbliche preferiscono dire di no e non incorrere in problemi legati alla realizzazione di opere pubbliche di una certa entità. Di fatto, tutti questi acronimi testimoniano un problema globale di relazione tra i cittadini di un territorio e quei soggetti pubblici e privati che su quel territorio vogliono, o devono, realizzare opere infrastrutturali.
In Italia, questo si unisce a una politica debole, molle, e poco incline a prendere decisioni potenzialmente impopolari, soprattutto quando di mezzo c’è il rapporto con la base elettorale più cara. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio permanente sul fenomeno in Italia ci fornisce un quadro allarmante: è il comparto energetico ad attirare l’opposizione più virulenta, con oltre 359 impianti contestati (+5% rispetto all’anno precedente).
A motivare le proteste, è spesso il timore dell’impatto ambientale e il mancato coinvolgimento delle comunità locali. In questo contesto, è sempre più difficile assicurare un’interlocuzione adeguata con tutti coloro che ritengono di poter rappresentare legittimamente un territorio: nell’epoca della sfiducia nei confronti delle istituzioni è ormai insufficiente condividere un determinato progetto solo con i decisori pubblici e le autorità locali che hanno competenza su di esso. Come possiamo affrontare questa serie di fenomeni con gli strumenti della comunicazione? A mio avviso, è soprattutto un buon racconto dell’opera a dover essere individuato e condiviso nel modo più rapido e preciso possibile. Inutile sforzarsi di mettere in evidenza i punti di forza di un’infrastruttura quando le comunità locali hanno avuto la percezione di essere state poste davanti a un fatto compiuto.
Lo sforzo di uno storytelling autentico, infatti, serve proprio a evitare frasi fatte o giustificazioni di massima, che potrebbero dare l’impressione di un “non detto”. Da qui, la necessità di definire internamente un set di messaggi che risponda in maniera modulabile ai vari gruppi di stakeholder, dai rappresentanti delle istituzioni (preoccupati all’idea di perdere consenso) ai portavoce dei settori produttivi del territorio (l’industria, l’agricoltura, il turismo), dai media locali (ancora fondamentali portatori di informazione per larghi strati della popolazione) a quelli che potremmo definire influencer (personalità riconosciute e stimate per il loro percorso professionale o il contributo alla comunità).
Adattare i messaggi ai pubblici di riferimento non significa diluirne i contenuti, ma mettere in evidenza diversi aspetti che possono stare più o meno a cuore del nostro interlocutore: le misure attuate per contenere o annullare l’impatto ambientale, le ricadute in termini di investimenti di lungo termine, la creazione di posti di lavoro, il sostegno concreto dell’azienda a progetti di responsabilità sociale.
Tutto questo sforzo di comunicazione serve, per chi vuole realizzare l’opera, a spezzare l’impressione che la maggioranza degli interessati avversi il progetto. Ben poche persone, infatti, sono disposte a spendersi pubblicamente a favore di qualcosa per cui avvertono un’opposizione generale e consolidata. Ecco perché è utile condurre periodicamente rilevazioni statistiche che ci aiutino a inquadrare le effettive dimensioni dei fronti del Sì e del No. Così come è sempre consigliabile dialogare con quelle terze parti (docenti, esperti, editorialisti, figure di spicco per impegno civico) la cui presa di posizione può servire a chiarire dubbi in maniera più efficace di una comunicazione ufficiale proveniente dal soggetto che vuole realizzare l’opera.
Infine, il web: le opinioni si formano sempre più in Rete, che viene vista da molti come un’arena di confronto libera da influenze esterne. Una sacrosanta libertà che lascia però spazio alla diffusione incontrollata di bufale su tante opere pubbliche. Creare opportunità di confronto sui social media e monitorare quotidianamente la sfera digitale è utile per identificare prontamente questi rischi e rispondere con informazioni verificate.
Non possiamo arrenderci al fenomeno Nimby. Dobbiamo piuttosto affrontarlo con un approccio strategico che sgombri il campo da incomprensioni e false notizie, prima che sia troppo tardi, dialogando in modo condiviso e costante con tutti coloro che “hanno qualcosa da dire” sul progetto e presidiando in modo credibile tutti i canali di informazione, compreso il web. Nell’era delle connessioni ad alta velocità, i no frettolosi e infondati non devono pregiudicare il nostro futuro.