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Corea del Nord, Iran, Russia. Attenti a John Bolton, farà saltare i negoziati. Parla Ian Bremmer

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Una ad una le “colombe” della Casa Bianca, se così si possono chiamare, sono cadute sotto i colpi dei falchi. La scelta di Trump di rimpiazzare il Consigliere per la sicurezza nazionale Henry McMaster con John Bolton, l’ambasciatore repubblicano ritenuto estremo anche da George Bush, sfata il mito di una “normalizzazione” di Capitol Hill, che pure nei mesi scorsi aveva trovato non poco spazio sulle prime pagine dei quotidiani internazionali. Perfino Ian Bremmer, presidente di Eurasiagroup, celebre editorialista del Time, che non ha mai perso occasione di smascherare le incongruenze dell’amministrazione Trump con le sue analisi pungenti, prova una certa nostalgia nei confronti dei collaboratori licenziati dal Tycoon. Adesso l’America cambia rotta, confida il politologo a Formiche.net: dall’Iran alla Corea del Nord fino ai rapporti con Mosca, con John Bolton a capo della Sicurezza Nazionale Washington va incontro a “rischi molto più grandi”.

Ian Bremmer, un altro licenziamento illustre alla Casa Bianca: fuori il generale McMaster, dentro l’ex ambasciatore all’Onu John Bolton. Adesso cosa cambia su dossier come Iran, Corea del Nord e Cina?

Bolton è molto più aggressivo sull’accordo per il nucleare con l’Iran rispetto a McMaster. Quanto alla crisi con la Corea del Nord, è sempre stato un sostenitore convinto di un’azione militare preventiva. Esattamente come gli attuali consiglieri di Trump, Bolton è favorevole a una linea molto più dura con la Cina, sia sul piano militare che su quello commerciale.

L’America First oggi non avrà più freni.

Diciamo che gli Stati Uniti saranno esposti a rischi molto più grandi. Se Trump ha intenzione di giocare pesante su una serie di fronti geopolitici, anche a costo di far scoppiare una guerra, la nomina di Bolton gli renderà il gioco facile.

Qual è il filo rosso che unisce tutti gli ex fedelissimi di Trump licenziati in questi mesi?

Credo che il punto fondamentale sia che intorno a Trump c’era effettivamente un gruppo di consiglieri esperti. Forse non saranno sempre stati in buoni rapporti con il presidente, ma per lo meno avevano alle spalle una buona dose di esperienza e una visione del mondo. Parlo di Rex Tillerson, Gary Cohn e ovviamente di Henry McMaster. Quando erano in disaccordo con Trump avevano la forza per rispondere e manifestare le loro divergenze, che in gioco ci fosse il commercio multilaterale, le sanzioni alla Russia, l’accordo sul nucleare con l’Iran o la crisi nordcoreana.

Con Bolton alla sicurezza nazionale Trump avrà più autonomia?

Persone come John Bolton o Peter Navarro sono molto più simili a uno come Steve Mnuchin, il segretario del Tesoro. Permettono a Trump di fare di testa sua, sostengono che i suoi istinti siano sempre giusti e cercano di facilitarlo in ogni modo.

Sembra che Mc Master, assieme ad altri consiglieri, avesse vivamente sconsigliato Trump dal chiamare Vladimir Putin per congratularsi della vittoria elettorale. È stata quella chiamata a sancire la rottura definitiva?

Non credo che Mc Master sia stato licenziato per il dossier della Russia. Si è vero, Trump ha chiamato Putin per congratularsi, ma non è stato l’unico, diversi leader del mondo occidentale hanno alzato la cornetta. Il generale se ne è andato per una serie di problemi che aveva con il presidente, alcuni più personali, altri di policy.

È indubbio però che i due non la pensassero allo stesso modo circa i rapporti con il Cremlino.

A dire il vero il presidente ha criticato pubblicamente la corsa alle armi del Cremlino. Credo che il comunicato di inizio marzo della portavoce Sarah Sanders sia il più duro che io abbia mai visto partire dalla Casa Bianca. È probabile che Trump stia iniziando a capire la debolezza di questo approccio con Mosca e stia cambiando idea.

Ci spieghi.

È interessante osservare come l’amministrazione Trump in fin dei conti stia divenendo sempre più aggressiva verso la Russia. Di recente il Dipartimento del Tesoro di Steven Mnuchin ha condannato apertamente le ingerenze cyber dei russi nelle infrastrutture critiche degli Stati Uniti, annunciando nuove misure in risposta agli attacchi, con sanzioni mirate a cinque aziende e 19 persone.

Perché invece Rex Tillerson è stato allontanato dal Dipartimento di Stato?

Tillerson non era davvero interessato a lavorare per la Casa Bianca. Non aveva alcuna intenzione di rendere conto delle sue azioni al genero di Trump Jared Kushner, e la sua personalità si metteva in competizione con quella del presidente. L’ad di Exxon Mobile non è mai stato un politico puro né ha mai saputo conquistare i media. A mio parere resta una persona intelligente, il suo giudizio politico su dossier come l’Arabia Saudita, il Libano, la Russia, la Corea del Nord e la Cina tutto sommato era saggio. Ma la sua volontà e capacità di fare i conti con la caotica Casa Bianca di Trump erano pari a zero, e questo non gli ha reso la vita facile al Dipartimento di Stato.

Veniamo alla crisi con la Corea del Nord. La nomina di Bolton allontana il faccia a faccia tra Trump e Kim Jong-un?

Ovviamente potrebbe non esserci più. Con la nomina di Bolton il potenziale di un’esplosione delle tensioni è certamente più alto. L’incontro potrebbe saltare perché i sudcoreani preferiscono un meeting bilaterale con Pyongyang, con gli Stati Uniti le richieste dei nordcoreani sarebbero più alte e Seul dovrebbe offrire qualcosa di più serio. Inoltre la Corea del Nord non ha mai rispettato un solo accordo con gli americani.

Perché la Corea del Sud non si fida di Trump?

A Seul c’è preoccupazione perché si ritiene che Trump non sia pronto per un faccia a faccia con Kim, che potrebbe finire male e mandare all’aria le trattative. Di questo passo i sudcoreani saranno sempre più intenzionati a negoziare da soli, senza coordinare ogni movimento con Washington. Oggi la Corea del Sud, soprattutto dopo l’avvio ai negoziati con Pyongyang, è sicuramente più vicina alla Corea del Nord e alla Cina che agli Stati Uniti.

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